SmaniaSchool
Primaria
Elementari 6-11 anni
Elena Calzighetti
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐈 𝐂𝐎𝐌𝐏𝐈𝐓𝐈 𝐄𝐒𝐓𝐈𝐕𝐈. 𝐓𝐑𝐀 𝐑𝐈𝐂𝐎𝐑𝐃𝐈 𝐄 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐈𝐃𝐄𝐑𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐈
𝐼𝑙 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 [𝑑'𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑛𝑡𝑒] 𝑒̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑎𝑟𝑟𝑖𝑣𝑒𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑐𝑜𝑐𝑐𝑖𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑝𝑜𝑡𝑟𝑜̀ 𝑑𝑖𝑟𝑒: «𝑆𝑐𝑢𝑠𝑎, 𝑑𝑒𝑣𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑔𝑔𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑖𝑡𝑖». 𝐼𝑙 𝑏𝑟𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑒̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑣𝑒𝑟𝑜.
(𝐸𝑟𝑚𝑎𝑛𝑛𝑜 𝐹𝑒𝑟𝑟𝑒𝑡𝑡𝑖, 𝑃𝑒𝑟 𝑐ℎ𝑖 𝑠𝑢𝑜𝑛𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑎𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎, 2011 )
Eccoci a riflettere su un problema spinoso e molto dibattuto: i compiti estivi!
Farlo da insegnante che li assegna è molto difficile e, nel corso della mia esperienza professionale, non nego di essermi trovata spesso a pormi la domanda relativa alla loro valenza. Poi ho ragionato e ripensato alla mia esperienza come studente e ho pensato a quali, dei compiti che mi sono stati assegnati, hanno realmente avuto una valenza didattica e pedagogica significativa.
Alle Scuole Elementari, già ai miei tempi…sigh!, si usava assegnare il libretto delle vacanze: un libricino colorato e accattivante che riprendeva sinteticamente gli argomenti affrontati durante l’anno scolastico. Non nego che a me piaceva molto il libro delle vacanze: breve, colorato, ricco di rebus e giochi di enigmistica e giochi logici; l’ho sempre aspettato con grande piacere e desiderio di mettermi lì, nella mia cameretta al riparo dal sole, ad eseguire alcune pagine al giorno. Poi sono diventata un po’ più grandicella ed è scattata la voglia di stare con gli amici in montagna. Qui sono sorte le prime difficoltà: in montagna stavo due mesi interi, uno con i nonni, uno con i miei genitori e lì iniziavano le lotte mattutine. “Prima fai un po’ di compiti, poi esci!”, “Ieri non li hai fatti, oggi devi recuperare!”, “Non esci se prima non hai fatto i compiti!”. Risultato: facevo tutti i compiti a giugno, appena finita la scuola, e a settembre, prima di ricominciare. Il mio compito l’avevo svolto e la mia maestra Gisella l’avrebbe corretto e mi avrebbe scritto, come faceva sempre: “Brava Elena, ti sei proprio impegnata!”
Degli anni dell’allora Scuola Media ho il ricordo di un solo compito assegnato dalla professoressa di scienze, suor Gabriella: realizzare un erbario, con almeno venti specie autoctone, del luogo in cui saremmo andati in vacanza: raccogliere, essiccare, incollare su un libretto appositamente preparato, descrivere con i nomi scientifici e con quelli comuni, scrivere eventuali usi officinali. Lavoro appassionante…se non fosse che ce l’ha assegnato per tutti e tre gli anni delle medie ed io andavo sempre in vacanza in montagna nello stesso posto: cercare le piante per l’erbario era diventata una missione modello Indiana Jones! Ricordo perfettamente che in seconda suor Gabriella mi aveva beccato: la malva l’avevo catalogata già in prima!
L’unico compito estivo che ricordo della Scuola Superiore è l’elenco dei libri da leggere con la relativa e famigerata SCHEDA DEL LIBRO: leggi almeno cinque tra i libri in elenco e completa la scheda allegata. Leggere mi è sempre piaciuto molto ma, sinceramente, che orrore la scheda del libro! Un libro va discusso, “digerito”, argomentato: poco importa quale sia la casa editrice, non interessa quale sia la sua ristampa, definire il protagonista, i personaggi secondari e la trama con le domande di comprensione del testo sono da Scuola Elementare, lì sono funzionali ad apprendere un testo, non alle Superiori ma…tutte le schede del libro venivano corrette, puntualmente, ogni anno. All’epoca…sigh!, non esistevano i riassunti commentati su Internet: te li dovevi proprio leggere tutti! Ricordo di aver odiato con tutta me stessa le prime pagine de “La coscienza di Zeno”, quelle famose per “L’ultima sigaretta”: libro talmente introspettivo e riflessivo da risultare incomprensibile ad un adolescente e, in quanto adolescente, quella scheda del libro non la feci, mi rifiutai e scrissi semplicemente: “Non l’ho capito, mi ha annoiata, non ricordo nulla!”. Ecco, questo mio atteggiamento, all’inizio della terza superiore, ha fatto sì che la professoressa aprisse una discussione in classe e, da allora, “La coscienza di Zeno” è uno dei miei libri preferiti.
Nel ripercorrere la mia esperienza di studente, come insegnante ho imparato che il senso del compito estivo non risiede nel compito stesso ma nel dopo, nella correzione da parte dei docenti, nella discussione successiva, nello scavare per comprendere ciò che è rimasto in superficie e ciò che invece si è sedimentato. IL COMPITO ESTIVO NON HA SENSO SE NON VIENE CORRETTO E RIPRESO CON GLI ALUNNI!
Come sostiene il professor Enrico Galiano: “Ecco: questo è un po’ il grande problema dei compiti per le vacanze: che poi li devi correggere. E non saprei quanti sono ma a occhio e croce molto pochi gli insegnanti che si prendono la briga di farlo sul serio. Per cui direi che il patto più equo e solidale dovrebbe essere questo: dare solo compiti che poi si correggerà e valuterà a puntino. Altrimenti non darli.”
I compiti estivi hanno un valore se li si analizza con gli alunni, se servono per trovare quali, tra gli obiettivi affrontati, hanno presentato maggiori difficoltà nello svolgimento, servono se fanno da stimolo alla METACOGNIZIONE da parte degli alunni, servono se gli insegnanti fanno metacognizione sul loro lavoro: perché questo argomento non è stato pienamente acquisito? Cosa posso fare per farlo acquisire? Parto da qui, mi fermo con il programma del nuovo anno perché i miei alunni non operano con sicurezza con questo concetto o con questa procedura.
I compiti estivi hanno un valore se i bambini ricevono gratificazione per il loro impegno: la maestra Gisella ha sempre gratificato tutti, indipendentemente dall’accuratezza dello svolgimento; i compiti estivi sono una contraddizione: se è vacanza, non faccio compiti. Il loro significato, come in tutto ciò che è inserito nel rapporto docente-discente, ha il valore che l’insegnante attribuisce al compito: se mi gratifica, se mi fa riflettere, se ne parlo con la maestra e i compagni, se viene corretto, quindi rispettato, allora hanno un valore. Se devono solo riempire un sano e meritato periodo di vacanza, vi prego colleghi, non dateli: sono un’ingerenza!.
Articolo e immagini di 2021 © Elena Calzighetti 13 luglio 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐋𝐀 𝐕𝐀𝐋𝐔𝐓𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐀𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐔𝐎𝐋𝐀 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐀𝐑𝐈𝐀: 𝐓𝐑𝐀 𝐑𝐈𝐋𝐄𝐕𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐈 𝐃𝐀𝐓𝐈 𝐎𝐆𝐆𝐄𝐓𝐓𝐈𝐕𝐈, 𝐃𝐀𝐓𝐈 𝐐𝐔𝐀𝐋𝐈𝐓𝐀𝐓𝐈𝐕𝐈, 𝐀𝐍𝐀𝐋𝐈𝐒𝐈 𝐃𝐄𝐋 𝐏𝐔𝐍𝐓𝐎 𝐃𝐈 𝐏𝐀𝐑𝐓𝐄𝐍𝐙𝐀, 𝐎𝐒𝐒𝐄𝐑𝐕𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐄𝐈 𝐏𝐑𝐎𝐂𝐄𝐒𝐒𝐈 𝐄 𝐃𝐈𝐒𝐏𝐎𝐒𝐈𝐙𝐈𝐎𝐍𝐈 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐌𝐄𝐍𝐓𝐄
“𝐼𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑒̀ 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑟𝑖𝑏𝑒𝑙𝑙𝑖𝑜𝑛𝑒. 𝑂𝑔𝑛𝑖 𝑏𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑒 𝑣𝑒𝑟𝑖𝑡𝑎̀ 𝑠𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑒 𝑒̀ 𝑟𝑖𝑣𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑎 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑖 𝑒𝑟𝑎 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑢𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎.”
(𝑀𝑎𝑟𝑔𝑎𝑟𝑒𝑡 𝐿𝑒𝑒 𝑅𝑢𝑛𝑏𝑒𝑐𝑘)
Il processo di apprendimento, a mio parere, è come imparare a camminare o a nuotare: si prova, si fanno cadute ed errori, si ritenta, qualcuno ci sostiene, ci prende la mano e poi, errore dopo errore, impariamo a camminare e poi a correre e saltare, a galleggiare e poi a nuotare. L’ingresso alla Scuola Primaria per ogni bambino è, metaforicamente, uguale ad imparare a nuotare: ci so arrivare da solo con una buona base di autonomia, ognuno la sua, le maestre mi prendono per mano e mi sostengono per imparare a comunicare, a leggere, a scrivere, a operare con i numeri, a risolvere problemi matematici, ad operare con il tempo e con lo spazio…insomma: imparo differenti “stili” che mi portano ad apprendere come si fa ad imparare.
La Scuola Primaria insegna ad imparare, insegna a comunicare oralmente e per iscritto, insegna il problem solving, insegna a categorizzare e a ritornare ad un sapere unitario: la Scuola Primaria è la scuola degli elementi fondamentali, fondanti…è la Scuola Elementare, termine a me molto caro.
Quando il bambino arriva alla Scuola Primaria si trova di fronte, però, al processo di VALUTAZIONE. Prima di allora non gli era mai venuto in mente che il suo saper fare, il suo saper comunicare, il suo saper operare potessero essere oggetto di valutazione: imparava per il piacere di imparare. Fino alla riforma della Valutazione alla Scuola Primaria (Ordinanza n. 172 del 4 dicembre 2020), gli alunni si sono confrontati con i voti numerici che mettevano loro di fronte ad una classifica legata alla prestazione: quanto hai preso nella verifica di grammatica? Quanti hanno preso 10? Quanti hanno preso 5? Nessuno di loro, con il voto numerico, si è mai posto il problema di cosa non avesse compreso, nessuno si è mai chiesto cosa fare per migliorare e per acquisire un metodo. Ci si trovava di fronte ad una VALUTAZIONE OGGETTIVA, basata sulla prestazione. Certamente nessun docente si è mai limitato solo a questo tipo di valutazione poiché la valutazione alla Scuola Primaria è sempre stata FORMATIVA: ogni insegnante per valutare usa metodi e tecniche più o meno consolidati e rigorosi, ma usa anche il buon senso e l'intuito, che deriva dall'esperienza. Confronta i dati quantitativi delle misurazioni, delle verifiche e quelli qualitativi delle descrizioni con i traguardi prefissati e interpreta i dati in rapporto ai processi di apprendimento dell'alunno e alla personalizzazione delle competenze. In questo modo la valutazione appare come una sintesi tra i risultati ottenuti dalle verifiche e le informazioni significative, provenienti dalle interpretazioni.
La “Nuova Valutazione” però, mette noi docenti di fronte ad uno sforzo professionale ulteriore: analizzare il punto di partenza di ciascun alunno in relazione a ciascun obiettivo e ci obbliga a guidare i bambini a fare delle riflessioni, delle AUTOVALUTAZIONI, sul loro PROCESSO DI APPRENDIMENTO, sulle modalità del loro apprendere, sul loro “stile” di galleggiamento o di nuotata.
Non nego che molti colleghi si siano lamentati per questa modalità di valutazione: è più difficile e complessa. Il voto numerico è semplice, immediato e non porta a fraintendimenti. Ma cosa diciamo ai nostri alunni con un numero? Cosa diamo loro in termini di crescita personale? Misuriamo ciò che hanno prodotto, non come ci sono arrivati; non diamo la lettura dei loro processi di apprendimento e non diamo loro una prospettiva futura legata alla voglia di imparare, alla consapevolezza che ciascuno di loro possa migliorare. Ciò non significa che alcune “prestazioni” siano imprescindibili: le tabelline le DEVO sapere ma non sono il fine ultimo del mio apprendere. Vero è che, ad oggi, gli strumenti che abbiamo per attuare una valutazione veramente formativa siano inadeguati: il registro elettronico è un “imbuto” nato per la Scuola Secondaria di II Grado e poi calato sugli ordini di scuole inferiori: non è fruibile dai docenti della Scuola Primaria perché non consente l’inserimento di Rubriche di Valutazione studiate per valutare le DISPOSIZIONI DELLE MENTE e gli atteggiamenti, non valuta i processi, costringe i docenti, per obbligo di trasparenza nei confronti delle famiglie, ad utilizzare diverse rubriche e griglie e a passare ore ed ore al PC per poter scrivere un GIUDIZIO DESCRITTIVO il più realisticamente coerente con la realtà delle osservazioni svolte in classe, nella quotidianità di una normale giornata scolastica. Non so dire se si riuscirà a superare questo ostacolo, l’unica cosa certa è che non dipende dagli insegnanti.
Ma cosa sono le DISPOSIZIONI DELLA MENTE?
• Sono comportamenti che esibiamo con sicurezza in occasioni appropriate
• Processi mentali abituali che guidano il pensare consapevole
• Derivano da un insieme composito di abilità, esperienze passate, inclinazioni, sensibilità, stati della mente (che sono innati)
• Danno gusto, sapore e qualità a quello che si pensa e si fa
PERCHE' INSEGNARLE?
• Rendono gli alunni più appassionati, riflessivi e cooperativi
• Possono essere integrate alle diverse discipline
• Possono determinare il successo in ogni obiettivo della vita
QUALI CARATTERISTICHE HANNO?
• VALORE: scegliere di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro
• INCLINAZIONE: sentire la tendenza ad applicare uno schema di comportamenti intellettivi
• SENSIBILITÀ: percepire l’appropriatezza dei comportamenti da mettere in atto
• IMPEGNO: riflettere continuamente su come migliorare
QUALI SONO LE DISPOSIZIONI DELLA MENTE?
1. persistere
2. gestire l’impulsività
3. ascoltare con comprensione ed empatia
4. pensare in maniera flessibile
5. pensare sul pensare (metacognizione)
6. impegnarsi per l’accuratezza
7. fare domande e porre problemi
8. applicare la conoscenza pregressa a nuove situazioni
9. pensare e comunicare con chiarezza e precisione
10. raccogliere informazioni con tutti i sensi
11. creare, immaginare, innovare
12. rispondere con meraviglia e stupore
13. assumere rischi responsabili
14. trovare il lato umoristico
15. pensare in maniera indipendente
16. rimanere aperti all’apprendimento continuo
Sembra chiaro quindi, con un tale elenco, che le disposizioni della mente possono essere insegnate, inserendole trasversalmente in tutte le discipline e attraverso la METACOGNIZIONE, che la Scuola Primaria è il primo passo formale ed istituzionalizzato verso degli obiettivi extra scolastici che faranno, di ogni studente, un buon cittadino; ecco perché la scuola tutta, in verticale, dovrebbe avere le stesse finalità: è più facile infondere una conoscenza, più difficile è insegnare a ragionare, insegnare a persistere, insegnare a fare domande, insegnare a raccogliere e selezionare informazioni, insegnare a pensare in modo indipendente e critico.
Per concludere la mia riflessione, mi soffermerei sulle cinque C della scuola:
• CONDIVISIONE (di informazioni, esperienze, buone pratiche…)
• CONSAPEVOLEZZA (chi, dove, come, quando e perché)
• COLLABORAZIONE (tra insegnanti, con il dirigente, con i genitori, con gli studenti, con gli enti locali)
• COERENZA (continua riflessione ed analisi)
• CULTURA vs COMUNITÀ (missione della scuola, valori, finalità)
"Così tanta gente lungo il cammino, qualunque sia ciò a cui aspiri, ti diranno che non può essere fatto. Ma tutto ciò che serve è l’immaginazione. Tu sogni. Tu progetti. Tu realizzi. Ci saranno degli ostacoli. Ci saranno dei dubbiosi. Ci saranno degli errori. Ma, col duro lavoro, con la fede, con la confidenza e la fiducia in te stesso e in quelli che ti stanno attorno, non ci sono limiti."
(Michael Phelps- The Baltimore Bullet- Campione Olimpico di nuoto).
Articolo e immagini di 2021 © Elena Calzighetti 8 giugno 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝗣𝗿𝗼𝗷𝗲𝗰𝘁 𝗕𝗮𝘀𝗲𝗱 𝗟𝗲𝗮𝗿𝗻𝗶𝗻𝗴 (𝗣𝗕𝗟) 𝗲
𝗹𝗮 𝗽𝗲𝗱𝗮𝗴𝗼𝗴𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗲𝘁𝘁𝗼
"𝘕𝘦𝘴𝘴𝘶𝘯𝘰 𝘯𝘢𝘴𝘤𝘦 𝘣𝘶𝘰𝘯 𝘤𝘪𝘵𝘵𝘢𝘥𝘪𝘯𝘰; 𝘯𝘦𝘴𝘴𝘶𝘯𝘢 𝘯𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘯𝘢𝘴𝘤𝘦 𝘥𝘦𝘮𝘰𝘤𝘳𝘢𝘻𝘪𝘢. 𝘌𝘯𝘵𝘳𝘢𝘮𝘣𝘪 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘤𝘦𝘴𝘴𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘪𝘯𝘶𝘢𝘯𝘰 𝘢𝘥 𝘦𝘷𝘰𝘭𝘷𝘦𝘳𝘴𝘪 𝘯𝘦𝘭 𝘤𝘰𝘳𝘴𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢."
(𝘒𝘰𝘧𝘪 𝘈𝘯𝘯𝘢𝘯)
Quando pensiamo ai progetti, in ambito scolastico e soprattutto alla Scuola Primaria, si tende a pensare a qualcosa di molto tecnico, legato ad una singola disciplina, magari con un esperto che viene appositamente e per un compito specifico: musica con un musicista, arte con un pittore, ginnastica con un allenatore di pallavolo, basket o calcio.
In realtà, lavorare per progetti coinvolge la quotidianità dell’esperienza scolastica e implica lo sviluppo di competenze disciplinari e trasversali fondamentali.
La pedagogia del progetto è una pratica educativa che coinvolge gli studenti nel lavorare intorno a un compito condiviso che abbia una sua rilevanza, non solo all’interno dell’attività scolastica, bensì anche fuori di essa. Ad esempio, si può proporre agli studenti di impegnarsi nella produzione di uno spettacolo, nella pubblicazione di un giornale, nel preparare un viaggio o un’escursione, scrivere una fiaba, un racconto, un fumetto, redigere una guida turistica che descriva un luogo o un oggetto d’arte, preparare una esposizione, girare un film o un video, progettare e realizzare un sito informatico, partecipare a un’azione umanitaria ecc. Il grande vantaggio di questo approccio sta nel favorire l’interiorizzazione del senso di quello che si apprende, cioè del fatto che conoscenze e abilità fatte proprie o ancora da acquisire hanno un ruolo e un significato, possono servire per raggiungere uno scopo più vasto. Lavorare per progetti induce la conoscenza di una metodologia di lavoro di grande rilievo sul piano dell’agire, la sensibilità verso di essa e la capacità di utilizzarla in vari contesti. Il progetto, infatti, è un fattore di motivazione. Per questa ragione, la pedagogia del progetto è utile all’acquisizione di competenze complesse, perché fornisce ai bambini l’abitudine di vedere i procedimenti appresi a scuola come strumenti per raggiungere degli scopi che possono percepire e che stanno loro a cuore, anche nella vita extra scolastica. Sul piano operativo, si parte sempre da un momento di natura progettuale che, alla Scuola Primaria con i bambini più piccoli, di norma, viene gestito dai docenti ed è il momento dell’ideazione che precede l’azione.
Per meglio chiarire la pedagogia del progetto, vorrei portare un esempio concreto realizzato con i miei alunni e le colleghe delle classi terze della scuola in cui insegno. Si tratta di un progetto a tema ecologico utilizzando la piattaforma eTwinnig che ho avuto il piacere di conoscere anni fa grazie ad un corso di formazione, improntato sulla metodologia dell’insegnamento della lingua inglese e svolto in Inghilterra.
𝗖𝗼𝘀’𝗲̀ 𝗲𝗧𝘄𝗶𝗻𝗻𝗶𝗻𝗴?
È una piattaforma, co-finanziata dal programma europeo Erasmus+, che offre alle scuole di tutta Europa la possibilità di comunicare, collaborare, sviluppare progetti e condividere idee; in breve, consente di partecipare alla più entusiasmante community europea di insegnanti. In eTwinning i docenti si possono formare attraverso corsi di didattica e di metodologia, sia online, sia in presenza, possono trovare progetti già costruiti e aggregarsi in base all’età dei propri alunni, oppure possono creare un progetto in base alle esigenze delle loro classi e cercare partner attraverso una chat e un forum in un ambiente digitale “protetto”.
Con i nostri alunni, in questo anno scolastico, abbiamo aderito al progetto “LET’S TALK ECO!” ideato da una collega portoghese. Al progetto prendono parte tre scuole italiane, due scuole portoghesi, una scuola spagnola, una greca, una croata e una polacca, per un totale di circa 180 bambini di otto-nove anni. L’obiettivo principale è quello di lavorare attraverso attività che portino ad una consapevolezza ecologica e a raggiungere i goals legati al clima e agli obiettivi dell’Agenda 2030; i bambini impareranno a riciclare, a ridurre gli sprechi, a riutilizzare risorse come la carta…a scuola se ne spreca tantissima; impareranno a diventare più eco-consapevoli e a valorizzare il contatto con la natura, tutto ciò attraverso le attività proposte in classe nelle ore di Educazione Civica, di Tecnologia, di Italiano, di Storia ma, anche e soprattutto, nelle ore di Lingua Inglese perché su eTwinnig si scrive solo in inglese. L’aspetto che più mi entusiasma di progetti come questo è però il fatto che si stimolino le COMPETENZE TRASVERSALI DI CITTADINANZA per formare cittadini consapevoli e attivi. Le competenze stimolate con questo tipo di progetto sono le seguenti:
1. Comunicazione nella madrelingua: in classe parliamo e scriviamo in italiano;
2. Comunicazione nelle lingue straniere: su eTwinnig scriviamo in inglese;
3. Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia: produciamo manufatti e ragioniamo sugli sprechi, sul riciclo e la raccolta differenziata;
4. Competenza digitale: usiamo una piattaforma e navighiamo in Internet ma in totale sicurezza con le credenziali d’accesso della maestra;
5. Imparare a imparare: osservando ciò che fanno i miei compagni all’esterno, sviluppo nuove strategie di apprendimento;
6. Competenze sociali e civiche: mi confronto con altre realtà culturali, con altre religioni, con altre abitudini scolastiche;
7. Senso di iniziativa e imprenditorialità: posso portare le mie idee, posso proporre delle attività;
8. Consapevolezza ed espressione culturale: mi confronto con la diversità del patrimonio culturale e artistico di altri Paesi e posso valorizzare la mia cultura e il mio patrimonio artistico.
All’interno del nostro progetto abbiamo rispettato, e ancora stiamo lavorando per rispettare le scadenze date dalla scuola che ha proposto le attività:
NOVEMBRE: presentazione delle scuole e dei territori in cui sono inserite; creazione del logo del progetto.
DICEMBRE: lavori creativi per Natale realizzati con materiali di riciclo
GENNAIO: come facciamo la raccolta differenziata nei paesi in cui viviamo
FEBBRAIO: presentazione Power Point con idee “riciclose”
MARZO: eco-slogan e messaggi. Ecco il nostro ECO-MESSAGGIO
APRILE: Pasqua creativa e contatto con la natura che si sveglia; EARTH DAY
MAGGIO: foto ecologiche della natura con voto della fotografia migliore; possibilità di far conoscere i bambini tra loro attraverso la piattaforma con una videochiamata
GIUGNO: valutazione del progetto e chiusura
Questa modalità di lavoro ha sicuramente il vantaggio di mantenere alto il livello di MOTIVAZIONE degli alunni…e anche degli insegnanti; rende sempre stimolante le attività da svolgere perché i bambini ne colgono lo SCOPO, il loro APPRENDIMENTO è PIÙ PROFONDO e DURATURO; inoltre, per i docenti, si tratta di formazione in servizio, di apprendimento permanente favorito dagli scambi culturali e metodologici tra colleghi provenienti da stati europei differenti.
Nella fotografia allegata, il nostro logo per il Progetto eTwinning “LET’S TALK ECO!”
Articolo e immagini di 2021 © Elena Calzighetti 11 maggio 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐋𝐀 𝐏𝐑𝐎𝐌𝐎𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐎𝐌𝐏𝐄𝐓𝐄𝐍𝐙𝐄…𝐔𝐍 𝐂𝐈𝐑𝐂𝐎𝐋𝐎 𝐕𝐈𝐑𝐓𝐔𝐎𝐒𝐎 𝐂𝐇𝐄 𝐀𝐑𝐑𝐈𝐂𝐂𝐇𝐈𝐒𝐂𝐄 𝐋’𝐀𝐋𝐔𝐍𝐍𝐎 𝐄 𝐈𝐋 𝐌𝐀𝐄𝐒𝐓𝐑𝐎
𝐼𝑛 𝑎𝑚𝑏𝑖𝑡𝑜 𝑒𝑑𝑢𝑐𝑎𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑐'𝑒̀ 𝑢𝑛 𝑣𝑎𝑛𝑡𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑟𝑒𝑐𝑖𝑝𝑟𝑜𝑐𝑜, 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑔𝑙𝑖 𝑢𝑜𝑚𝑖𝑛𝑖 𝑖𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑚𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑛𝑜
𝐿. 𝐴. 𝑆𝑒𝑛𝑒𝑐𝑎
Parlare di sviluppo delle competenze senza correre il rischio di essere troppo “tecnici” non è facile, così ho pensato di farlo ripensando alla mia esperienza di insegnante della Scuola Primaria: ho ripensato al mio primo, ingenuo e, a volte, troppo scolastico atteggiamento di docente nei primi anni della mia carriera…i miei alunni classe 1988 sanno che sono stati il mio allenamento, la mia “palestra” e, per questo, mi sono già scusata!
Ho rivisto me stessa in quell’aula grande con venticinque alunni, di cui quindici maschi vivaci, energici e con una grande voglia di crescere, ho rivisto le mie dieci bambine, di cui tre “vulcaniche”, cinque metodiche e riflessive e due estremamente esigenti dal punto di vista intellettivo; li ho rivisti tutti con le loro domande, i loro dubbi, le loro chiacchiere e la loro voglia di imparare; sono tornata indietro nella memoria facendomi queste domande: “In un’epoca in cui non si parlava di competenze, io, la maestra Elena, sono riuscita a sviluppare le loro competenze? In che modo?”.
Per rispondermi ho rivisto tutto il percorso legislativo che ha portato alla didattica per competenze, mi sono chiesta quali caratteristiche dovrebbe avere un alunno competente e l’ho riassunto in questo breve elenco:
• Sa imparare ad imparare e trova le risorse per apprendere
• Sa progettare
• Sa comunicare
• Sa collaborare e partecipare
• Sa agire in modo autonomo e responsabile
• Sa risolvere problemi, non solo matematici
• Sa individuare collegamenti e relazioni
• Sa acquisire ed interpretare le informazioni.
Così, ripensando a quei cinque meravigliosi anni, alle esperienze fatte, alle gite, alle visite guidate, ai laboratori, ai corsi d’aggiornamento, ai colleghi, ai visi dei miei alunni…che ricordo ancora tutti, alle nottate a progettare lezioni pratiche (vi ricordate le Guerre Puniche sdraiati nel corridoio con gli elefantini degli Ovetti Kinder che attraversavano i Pirenei?), magari dopo aver seguito un corso di Storia Medioevale in Università, sono arrivata alla conclusione che le competenze si sviluppano con TRE REQUISITI FONDAMENTALI: la progettazione consapevole, l’empatia e l’appoggio dei colleghi.
Possiamo ripetere all’infinito che un docente efficace deve saper trasmettere le sue conoscenze ma se non è formato e non si aggiorna, se non ci mette il cuore e non è inclusivo e se non condivide o non sa condividere oppure se non ha l’appoggio dei colleghi, non sarà un docente in grado di rendere competenti i suoi alunni.
Ma torniamo al mio viaggio nella memoria: ripensando al mio percorso scolastico come docente, riconoscendo di aver sbagliato molto, posso affermare con certezza che mi sono sempre aggiornata, che ci ho sempre messo il cuore e che ho avuto colleghi straordinari che mi hanno insegnato molto. Il circolo virtuoso dell’apprendimento, quindi, secondo il mio parere, si fonda sulla crescita personale e reciproca che il docente porta agli alunni e gli alunni al docente, si esplica nel rapporto con i colleghi, si fonda sulla formazione e sull’esserci emotivamente, in modo empatico. Perché tutti possono sbagliare ma un bambino sente se il suo insegnante è lì per lui, per lei, singolarmente.
Troppo spesso i nostri alunni si mostrano apatici, demotivati, disinteressati o addirittura ci interrogano sul senso del “venire a scuola”! Con semplicità definiamo questi ragazzi svogliati, disattenti, distratti da altro, con scarse potenzialità e non ci interroghiamo su quale sia il reale bisogno di conoscenza dei ragazzi di oggi. È bene allora che la scuola si interroghi non solo sul profilo dell’alunno in uscita e sulla progettazione da realizzare ma, prima di tutto, sulla necessità di riflettere sul proprio agire. Il docente competente, in un percorso di apprendimento permanente, sviluppa la consapevolezza di sé riconoscendo le proprie risorse personali, i suoi limiti e lo stile di apprendimento - insegnamento che lo contraddistingue; riflette e problematizza ciò che ha ricevuto come bagaglio culturale; è padrone del sapere disciplinare e del valore epistemologico e metacognitivo delle discipline; esprime la propria sensibilità nell’ascolto, nel dialogo, nell’attenzione e nel rispetto di ragazzi e colleghi, nella cura sincera delle caratteristiche dei propri alunni accompagnandoli nel processo educativo in continuità con gli altri segmenti scolastici; riconosce nella continuità didattica il vero volano dell’orientamento dell’alunno. È qui che si gioca l’intera partita! Il cambiamento del “fare scuola” DEVE necessariamente passare attraverso un cambiamento della professionalità docente. Attraverso il cambiamento personale (docente) e collettivo (scuola) si potrà giungere alla vera innovazione altrimenti le esperienze dei singoli docenti non avranno un valore funzionale alla vita della scuola. Riflettendo su quanto ho osservato nella mia esperienza personale, posso concludere che:
• Lavorare in un modo diverso, lasciando le aule, i libri, le esercitazioni mnemoniche, non solo è possibile, ma interessante sia per gli allievi, sia per gli insegnanti
• Non dobbiamo, noi maestri, aver paura di metterci in gioco, facendo «scuola» così, non si perde nulla di ciò che abbiamo sempre insegnato e si guadagna in significatività e in competenza
• Le competenze si sviluppano trasferendo e utilizzando i saperi disciplinari in contesti diversi e non sui quaderni
Da queste riflessioni, emerge il profilo dell’insegnante competente che guida i propri alunni verso l’acquisizione di una piena competenza:
• È preparato e aggiornato
• È empatico
• È accogliente
• È propositivo
• Collabora con i colleghi e sa lavorare in team
• Impara sempre, anche dagli alunni
• Riflette sul proprio modo di insegnare (autovalutazione)
• Usa tecniche di insegnamento differenti e differenziate
• Sperimenta e si confronta
• Utilizza il digitale (oggi è indispensabile)
Ma vediamo ora quali tecniche metodologiche possono favorire lo sviluppo delle competenze. La premessa è che, durante questo anno scolastico per via dell’emergenza sanitaria, alcune di queste metodologie non possono essere applicate quotidianamente ma altre possono essere attuate con continuità, anche durante la Didattica a Distanza. A seguire quelle che, a me, piacciono di più e che trovo sempre efficaci.
• Il Brainstorming: modalità di lavoro di gruppo in cui viene sfruttato il gioco creativo dell'associazione di idee: la finalità è fare emergere diverse possibili alternative in vista della soluzione di un problema.
• Le attività laboratoriali: imparare facendo e imparare collaborando.
• Il peer tutoring: aiuto reciproco in classe. Viene definito anche come il passaggio di conoscenze tra pari. Si tratta di un’ottima strategia di didattica attiva, spendibile in tutte le discipline.
• Il Collaborative Laerning: metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi responsabili del percorso di apprendimento.
• Problem Solving: è la capacità di definire un problema, determinarne la causa, identificare e stabilire le priorità, selezionare le possibili soluzioni e decidere quale implementare.
Diventare competenti, sia per gli studenti, sia per i docenti, è come intraprendere un cammino, in montagna con uno zaino sulle spalle: la fatica è personale, lo sforzo è personale, il carico e gli strumenti fanno parte del tuo bagaglio, che cresce con l’età, e lungo il sentiero non sei da solo perché le persone ti accompagnano, le persone ti vengono incontro, ti salutano e se ne vanno ma, anche, ti superano e, nonostante tutto, tu vai avanti, per raggiungere la tua meta.
Ma ora torniamo alla mia domanda iniziale: “In un’epoca in cui non si parlava di competenze, io, la maestra Elena, sono riuscita a sviluppare le loro competenze? In che modo?”
Beh, la risposta è sì. Certo non sono stata l’unica, dopo di me hanno avuto tanti altri insegnanti, hanno avuto le loro famiglie, hanno incontrato tanti adulti e anche coetanei di riferimento che li hanno accompagnati in un percorso di crescita personale ma, mi piace pensare, che io abbia contribuito seminando qualche seme, quello della conoscenza, della voglia di imparare, del piacere di far parte di un gruppo, della consapevolezza, quello del saper agire con le proprie potenzialità. Ora tutti loro sono adulti, molti sono genitori di bellissimi bambini, hanno un lavoro, affrontano le loro vite con caparbietà e in autonomia e…non si sono dimenticati della loro maestra!
Articolo e immagine di 2021 © Elena Calzighetti 13 aprile 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐂𝐎𝐒𝐓𝐑𝐔𝐈𝐑𝐄 𝐈𝐍𝐂𝐋𝐔𝐒𝐈𝐎𝐍𝐄
𝐋𝐚 𝐪𝐮𝐨𝐭𝐢𝐝𝐢𝐚𝐧𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐜𝐜𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞 𝐞 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚
𝑂𝑔𝑛𝑖 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑜, 𝑞𝑢𝑖𝑛𝑑𝑖 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑎𝑙𝑢𝑛𝑛𝑜, 𝑒̀ 𝑢𝑛 𝐵𝐸𝑆: 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑙’𝑖𝑛𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑢𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎 𝑎𝑙𝑙’𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑠𝑖𝑔𝑛𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑖𝑎𝑠𝑐𝑢𝑛𝑜
Con il termine Inclusione, oggi, si valorizza un percorso di consapevolezza che è partito dal termine 𝐈𝐧𝐬𝐞𝐫𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 (mettiamo la diversità in un contesto di normalità), passando per l’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 (relazione biunivoca tra il soggetto integrato ed il gruppo integrante, ovvero sottolineiamo il valore di uno scambio), fino ad arrivare al termine 𝐢𝐧𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 (necessità di approcci speciali-specifici per ciascuno). L’integrazione scolastica prima e l’inclusione ora sono da sempre le parole chiave di una didattica attenta ai bisogni di ogni singolo alunno.
vero che quando si parla di inclusione, la nostra mente corre subito agli alunni con disabilità ma è anche vero che i bisogni di ogni bambino sono “speciali”. Chi la scuola, o meglio la classe, la vive ogni giorno sa che c’è l’alunno timido, quello che non partecipa, c’è l’alunno esuberante, quello che partecipa sempre e comunque, c’è l’alunno metodico ed estremamente ligio al dovere che, però, se per una volta dovesse sbagliare, va in crisi, c’è l’alunno di diversa provenienza che fatica a comprendere l’italiano ma conosce benissimo l’inglese, c’è l’alunno che frequenta a giorni alterni e si “perde i pezzi”, c’è il curioso, c’è quello che ha più conoscenze degli insegnanti, c’è l’alunno con diagnosi di iperattività, c’è quello che è iperattivo anche senza diagnosi e che ti ritrovi a zampettare come una cavalletta ad ogni piè sospinto, c’è chi ha un Disturbo Specifico dell’Apprendimento e magari di alunni così ne hai in classe tre: uno con diagnosi di Dislessia, uno con Discalculia, uno Disgrafico, c’è l’alunno con disabilità cognitiva e l’alunno con una plus dotazione...ogni alunno è un BES con Bisogni Educativi Speciali!
Come ricorda spesso il Professor Dovigo, mio relatore della tesi universitaria:
“𝐿𝑎 𝑛𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑐𝑙𝑢𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑓𝑓𝑒𝑟𝑚𝑎 𝑙’𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑖𝑛𝑣𝑜𝑙𝑔𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑢𝑛𝑛𝑖 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑐𝑢𝑜𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑔𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑙𝑎 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑟𝑟𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑡𝑒𝑔𝑖𝑒 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑖𝑣𝑒, 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑒𝑣𝑜𝑛𝑜 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑙’𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎 𝑔𝑟𝑎𝑑𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑡𝑎̀ 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑡𝑟𝑎 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑢𝑛𝑛𝑖” (𝐷𝑜𝑣𝑖𝑔𝑜, 2007).
L’attuale prospettiva pedagogica internazionale propone la visione di piena inclusione che, partendo dal riconoscimento degli alunni disabili nella scuola, si apre all’inclusione per tutti i bisogni educativi speciali e conseguentemente accoglie pienamente tutti gli alunni fornendo risposte adeguate a tutte le difficoltà presenti. È una scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le diversità individuali di tutti gli alunni non soltanto a quelle degli alunni disabili o con BES, una scuola che non pone barriere, anzi 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚 𝐥𝐞 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐞 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐯𝐢𝐝𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐨𝐠𝐧𝐮𝐧𝐨 e facilita la partecipazione sociale e l’apprendimento; una scuola fattore di promozione sociale, davvero attenta alle caratteristiche individuali, sia nel caso delle difficoltà che nel caso della variabilità “normale” ed eccezionale. Questo livello, ottimale, integra dentro di sé inclusione e integrazione. Ma come si può fare, nella quotidianità, a promuovere una vera inclusione? Come la strutturazione delle lezioni e delle attività programmate potrà essere realmente inclusiva? Davvero individualizzare l’insegnamento, per un docente, significa personalizzare per ogni singolo alunno? Vediamo di procedere con ordine e di seguire alcune indicazioni base. Ogni attività, ogni lezione dovrebbe farci tendere a questi obiettivi:
1- Promuovere una didattica inclusiva che tenga conto delle esigenze dei singoli allievi e dei loro specifici bisogni educativi, affinché ciascuno raggiunga il più alto livello di successo formativo possibile.
2- Creare un ambiente di apprendimento accogliente e favorevole al successo formativo di ciascun alunno, nel pieno rispetto dei differenti stili di apprendimento, valorizzando le diversità e le potenzialità (che non vanno solo accolte ma riconosciute, stimolate, trasformate in risorse e utilizzate nelle attività quotidiane per lavorare insieme).
3-Identificare e sostenere gli alunni che, anche in assenza di una specifica certificazione, necessitano di percorsi didattici personalizzati (legge 53/2003)
4-Facilitare l’ingresso degli alunni disabili e con BES nel sistema socio-scolastico nel quale saranno inseriti.
5-Far sì che l’incontro con i compagni con disabilità sia un importante momento di 𝐜𝐫𝐞𝐬𝐜𝐢𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐞𝐝 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐮𝐧𝐧𝐢, chiamati a percorrere insieme un itinerario di accettazione e valorizzazione delle diversità.
6-Contrastare il disagio scolastico con conseguenti insuccessi scolastici, abbandoni e conflittualità.
7- Promuovere iniziative di collaborazione e interazione tra scuola, reti di scuole, Comune, Enti territoriali, ASL.
8- Creare un rapporto sinergico tra scuola e famiglia per promuovere il successo formativo di ciascun alunno.
9- Condividere le linee metodologiche e i presupposti pedagogici inclusivi con tutta la comunità educante (docenti, non docenti, genitori, alunni)
10-Facilitare la condivisione delle informazioni relative agli alunni con difficoltà e le azioni di orientamento nell’ottica di una continuità educativa che garantisca un sereno passaggio dello studente tra un ordine di scuola e un altro.
Personalmente ritengo che conoscere la Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner sia fondamentale e molto utile per attuare una reale individualizzazione del processo di apprendimento.
“Lo psicologo statunitense Howard Gardner distingue ben nove tipi fondamentali d’intelligenza, localizzati in parti differenti del cervello, di cui fa parte anche l’intelligenza logico-matematica (l’unica su cui era basato l’originale test di misurazione del QI). Ecco, qui di seguito, i nove macro- gruppi intellettivi:
1. Intelligenza Linguistica
2. Intelligenza Logico-Matematica
3. Intelligenza Spaziale
4. Intelligenza Corporeo-Cinestesica
5. Intelligenza Musicale
6. Intelligenza Interpersonale
7. Intelligenza Intrapersonale
8. Intelligenza Naturalistica
9. Intelligenza Esistenziale
𝐒𝐞𝐛𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐜𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐨 𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐢𝐧𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐧𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐯𝐢𝐝𝐮𝐢, 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐚𝐭𝐞 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐥’𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨. Inoltre, esse possono anche “decadere” con il tempo. Lo stesso Gardner ha poi menzionato il fatto che classificare tutte le manifestazioni dell’intelligenza umana sarebbe un compito troppo complesso, dal momento che ogni macro- gruppo contiene vari sottotipi. (Fonte http://it.wikipedia.org).”
Senza procedere con l’analisi di ogni singola “Intelligenza”, quello che può essere molto utile per un docente è sapere che 𝐨𝐠𝐧𝐮𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐢 𝐚𝐩𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐮𝐧 𝐜𝐚𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐫𝐢𝐯𝐢𝐥𝐞𝐠𝐢𝐚𝐭𝐨 , secondo uno stile di apprendimento basato su una o più delle “Intelligenze” sopracitate. Averne consapevolezza aiuta l’insegnante ad impostare la lezione affinché possano essere stimolate più aree del cervello da stimoli differenti: unire la spiegazione ad un video, continuare con un’attività pratica, magari in movimento, far realizzare un prodotto artigianale, lavorare con le mani, oltre che con gli occhi, sicuramente aiuta ad arrivare a più alunni possibile. Ecco perché, senza demonizzarla, la lezione frontale è sì utile e necessaria ma non può essere l’unica forma di trasmissione del sapere; nel trasmettere il sapere in forma univoca, dal docente al discente, non è detto che ciò che si è acquisito con questa modalità, diventi a tutti gli effetti, reale apprendimento; non tutti trattengono le informazioni a lungo termine, se apprese con questa modalità. Io per prima so di apprendere meglio se, durante una spiegazione ho un supporto visivo e ho la possibilità di prendere appunti perché il non fare qualcosa mentre ascolto, mi porta ad annoiarmi.
𝐃𝐈𝐃𝐀𝐓𝐓𝐈𝐂𝐀 𝐈𝐍𝐂𝐋𝐔𝐒𝐈𝐕𝐀 significa creare un clima inclusivo (stimolando l'accettazione e il rispetto delle diversità), adattare materiali, tempi, spazi e stili di insegnamento, modificare strategie in itinere, trovare punti di contatto tra la programmazione di classe e quelle individualizzate, impegnarsi alla co-costruzione di un curricolo come ricerca flessibile e personalizzata del pieno sviluppo delle potenzialità di ciascun alunno della classe. La metodologia è concentrata sull’ascolto, sul coinvolgimento, sulla partecipazione di tutti e soprattutto sul rispetto dei tempi di apprendimento di ciascuno. Particolare attenzione verrà posta verso ogni alunno considerando
le sue peculiarità al fine di realizzare percorsi didattici personalizzati utilizzando ogni risorsa a disposizione della scuola (LIM, laboratori, materiale strutturato e non, mediatori didattici, attrezzature e ausili informatici, software e sussidi specifici ecc.). L’uso del computer offre il vantaggio di poter utilizzare un insieme di più codici espressivi, fornendo grosse opportunità di apprendimento globale ed immediato, trasmettendo conoscenze con una modalità attinente al processo di apprendimento naturale.
Bisogna utilizzare la 𝐫𝐢𝐬𝐨𝐫𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐢: è necessario lavorare su collaborazione, cooperazione e clima di classe attraverso il cooperative learning, tutoraggio, peering, ecc; ognuno, con le proprie caratteristiche, può diventare risorsa e strumento compensativo per gli altri. Il lavoro in gruppi ristretti eterogenei consente di trovare il proprio spazio, arricchire le relazioni e instaurare rapporti di collaborazione personali durevoli e significativi e, allo stesso tempo, effettuare percorsi di recupero e di potenziamento. Fondamentale è la METACOGNIZIONE, la conoscenza da parte di ogni alunno di ciò che fa, di ciò che impara e di come lo impara. La consapevolezza rispetto ai propri processi cognitivi è l’obiettivo trasversale ad ogni attività didattica. Le 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐟𝐢𝐜𝐡𝐞 saranno il più possibile conformi a quelle della classe o semplificate o specifiche. La 𝐯𝐚𝐥𝐮𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 si baserà soprattutto sui progressi rispetto alla situazione di partenza, sull’impegno e sull’attenzione prestata. Essa deve essere formativa, incoraggiante, riconoscibile e comprensibile da parte degli alunni; è un mezzo per potenziare le opportunità di apprendimento, è stimolo alla crescita e all’autostima (soprattutto in termini di autovalutazione che rende partecipi gli alunni dei miglioramenti e dell’evoluzione dei propri obiettivi di apprendimento).
𝐋’𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐠𝐧𝐨 è fondamentale sia all’interno del rapporto docente – alunno, sia all’interno del più vasto rapporto scuola – società, in quanto promuove una scuola che sia tutta inclusiva e che sia in grado di dare risposte adeguate ai bisogni di apprendimento e sociali di ciascuno alunno. Impegnarsi per la dignità dell’alunno con situazione di disabilità significa lottare per una società migliore, nella quale ogni uomo possa cogliere in sé e negli altri un significato profondo che distingue e accomuna al tempo stesso: il valore persona.
L’approccio centrato sulla persona non pretende di imporre grandi teorie, ma semplicemente di proporre la crescita e la maturazione del singolo e dei gruppi attraverso una modificazione costruttiva e profonda dei rapporti interpersonali, basata sulla partecipazione affettiva (empatia), sull’abbandono dei ruoli stereotipati e sulla responsabilizzazione di ciascuno.
Al concetto basilare dell’inclusione si deve affiancare un altro concetto fondamentale affinché questa si realizzi pienamente, quello di collaborazione, una collaborazione che si deve compiere a diversi livelli. In primo luogo, 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐨𝐛𝐢𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐞𝐝𝐮𝐜𝐚𝐭𝐢𝐯: gli insegnanti devono proporre agli alunni forme di collaborazione nel percorso educativo e didattico al fine di creare all’interno del gruppo classe il clima positivo ai processi integrativi. In secondo luogo, 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐦𝐞𝐭𝐨𝐝𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚 𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚𝐭𝐢𝐯𝐚 per gli insegnanti: la professionalità docente deve necessariamente mirare al lavoro di gruppo per conseguire gli obiettivi che in sede di programmazione generale vengono collegialmente definiti; infine 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐞𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, quali presupposti necessari per qualsiasi lavoro di rete.
Alla luce di tutto ciò l’insegnante di sostegno acquista sempre più un ruolo di supervisione e di guida degli interventi inseriti nella circolarità del lavoro di rete consoni alle sue competenze specialistiche e metodologiche ed è a tutti gli effetti un docente titolare dell’equipe docente.
Articolo e immagine di 2021 © Elena Calzighetti 9 marzo 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐋𝐀 𝐍𝐔𝐎𝐕𝐀 𝐕𝐀𝐋𝐔𝐓𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐍𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐔𝐎𝐋𝐀 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐀𝐑𝐈𝐀: 𝐒𝐕𝐎𝐋𝐓𝐀 𝐏𝐑𝐎𝐅𝐎𝐍𝐃𝐀 𝐄 𝐑𝐈𝐅𝐋𝐄𝐒𝐒𝐈𝐎𝐍𝐈
“𝐿𝑎 𝑠𝑐𝑢𝑜𝑙𝑎 𝑙𝑎 𝑣𝑜𝑟𝑟𝑒𝑖 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑎𝑔𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑐𝑜𝑟𝑑𝑖𝑎𝑙𝑖 𝑐ℎ𝑖𝑎𝑐𝑐ℎ𝑖𝑒𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖, 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́, 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑒, 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑔𝑒𝑙𝑙𝑎, 𝑠𝑖 𝑎𝑏𝑏𝑖𝑎 𝑢𝑛 𝑏𝑒𝑙 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑜, 𝑐𝑖𝑜𝑒̀ 𝑢𝑛 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑜 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑜, 𝑠𝑖𝑛𝑐𝑒𝑟𝑜, 𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒”.
𝑆𝑜𝑛𝑜 𝑙𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑢𝑜𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑚𝑎𝑒𝑠𝑡𝑟𝑜 𝑎𝑝𝑝𝑒𝑛𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑎 𝑙𝑎 𝑆𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎 𝐺𝑢𝑒𝑟𝑟𝑎 𝑀𝑜𝑛𝑑𝑖𝑎𝑙𝑒: 𝑀𝑎𝑟𝑖𝑜 𝐿𝑜𝑑𝑖.
Così scriveva Mario Lodi, un maestro illuminato, quasi settant’anni fa. Da allora molti insegnanti hanno vissuto l’impellente bisogno di far tornare la scuola del Primo Ciclo a qualcosa di essenziale, soprattutto nella Scuola Primaria che, fino a non molti anni fa, si chiamava la Scuola Elementare: quella degli elementi base, significativi e fondanti, quella che 𝐝𝐞𝐯𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐨𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐫𝐚𝐫𝐞.
La Scuola Elementare prima e la Scuola Primaria poi è stata soggetto di varie Riforme (più di ogni altro ordine di scuola a dire il vero) ma la valutazione è sempre stata la mera valutazione della prestazione.
Nella mia carriera ho visto transitare i voti numerici, le lettere, poi i giudizi, poi ancora le lettere, poi ancora il voto numerico ma il comune denominatore sono sempre stati la classificazione, la divisione, la prestazione e l’incentivazione delle disuguaglianze.
"𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑜𝑑𝑢𝑐𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑡𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑖𝑙 𝑟𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜, 𝑑𝑖𝑠𝑢𝑔𝑢𝑎𝑔𝑙𝑖𝑎𝑛𝑧𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑔𝑟𝑎𝑑𝑖 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖, 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑖, 𝑛𝑒𝑔ℎ𝑖𝑎𝑚𝑜 – scrivono gli insegnanti di “𝐒𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐙𝐚𝐢𝐧𝐨” – 𝑖𝑛 𝑝𝑟𝑎𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑖𝑙 𝑑𝑖𝑟𝑖𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑒 𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑖, 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑒 𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑖 𝑎𝑙 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐩𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐞, 𝑑𝑖 𝑠𝑡𝑎𝑟 𝑏𝑒𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖, 𝑑𝑖 𝑖𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑜𝑔𝑛𝑢𝑛𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑖 𝑓𝑎𝑐𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑙 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑢𝑜̀. 𝐼𝑙 𝑣𝑜𝑡𝑜 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑢𝑟𝑏𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎, 𝑙’𝑎𝑢𝑡𝑜𝑠𝑡𝑖𝑚𝑎, 𝑎𝑏𝑏𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑒 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑒 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖. 𝑃𝑒𝑟 𝑠𝑐𝑢𝑜𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑠𝑝𝑜𝑛𝑠𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑛𝑑𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑐𝑢𝑜𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑢𝑛𝑛𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑎𝑔𝑜𝑛𝑖𝑠𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜, 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑒𝑐𝑖𝑑𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑖 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑒 𝑖 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑏𝑜𝑙𝑖 𝑠𝑢 𝑐𝑢𝑖 𝑜𝑐𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒 𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜𝑟𝑎𝑟𝑒.
𝑆𝑒 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑙𝑎 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖𝑛𝑔𝑒𝑟𝑒, 𝑖𝑛𝑡𝑖𝑚𝑖𝑑𝑖𝑟𝑒, 𝑔𝑖𝑢𝑑𝑖𝑐𝑎𝑟𝑒, 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑟𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑢𝑐𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑓𝑒𝑒𝑑𝑏𝑎𝑐𝑘 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑖 𝑡𝑟𝑎𝑑𝑢𝑐𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛 𝑔𝑖𝑢𝑑𝑖𝑧𝑖 𝑠𝑢 𝑠𝑒 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑒 𝑠𝑢𝑙 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒”.
Come si fa a valutare nello stesso modo dei bambini che partono da livelli di competenze differenti?
Come faccio a valutare con gli stessi parametri chi, per arrivare in cima ad una montagna, parte da quota cento sul livello del mare confrontandolo con chi parte da ottocento metri?
𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐟𝐚 𝐚 𝐯𝐚𝐥𝐮𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐝𝐚 𝐭𝐨𝐫𝐭𝐮𝐨𝐬𝐚 𝐞𝐝 𝐚𝐜𝐜𝐢𝐝𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐚𝐠𝐨𝐧𝐚𝐧𝐝𝐨𝐥𝐚 𝐚 𝐜𝐡𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞 𝐮𝐧’𝐚𝐮𝐭𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚𝐝𝐚?
Certamente il lavoro dell’insegnante verte a portare entrambi il più vicino possibile alla meta, ma la valutazione del percorso fatto deve tener conto del punto di partenza, del percorso svolto, dei passi fatti in avanti, degli ostacoli
incontrati e delle autonomie dei singoli alunni.
Ecco perché, finalmente, la valutazione assume carattere formativo, oltre che sommativo. La valutazione, infatti, si definisce, con Ordinanza n° 172 del 4 dicembre 2020, secondo questi tre modalità:
1) Valutazione formativa per le valutazioni periodiche e finali: espressa in livelli e riferita ad obiettivi di apprendimento dichiarati dai docenti, riferiti al Curricolo d’Istituto e alle Indicazioni Nazionali del 2012
2) Valutazione in itinere: valuta con giudizi descrittivi le abilità e le conoscenze necessarie a raggiungere l’Obiettivo di apprendimento (senza “attrezzatura” non si scala una montagna!)
3) Valutazione oggettiva d’Istituto: riferita a rubriche di valutazione stese dai docenti collegialmente e volta a valutare uno standard (serve ad analizzare e confrontare, ad esempio, i risultati delle prove INVALSI delle classi seconde e quinte della Scuola Primaria)
Analizzando nel dettaglio i punti appena declinati, vorrei citare le Linee Guida che accompagnano l’Ordinanza:
𝟏. A questo scopo e in coerenza con la certificazione delle competenze per la quinta classe della scuola primaria, sono individuati quattro livelli di apprendimento:
● avanzato;
● intermedio;
● base;
● in via di prima acquisizione.
I livelli si definiscono in base ad almeno quattro dimensioni, così delineate:
a) l’𝐚𝐮𝐭𝐨𝐧𝐨𝐦𝐢𝐚 dell’alunno nel mostrare la manifestazione di apprendimento descritto in uno specifico obiettivo. L’attività dell’alunno si considera completamente autonoma quando non è riscontrabile alcun intervento diretto del docente;
b) la 𝐭𝐢𝐩𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐢𝐭𝐮𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 (𝐧𝐨𝐭𝐚 𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐧𝐨𝐭𝐚) entro la quale l’alunno mostra di aver raggiunto l’obiettivo. Una situazione (o attività, compito) nota può essere quella che è già stata presentata dal docente come esempio o riproposta più volte in forme simili per lo svolgimento di esercizi o compiti di tipo esecutivo. Al contrario, una situazione non nota si presenta all’allievo come nuova, introdotta per la prima volta in quella forma e senza specifiche indicazioni rispetto al tipo di procedura da seguire;
c) le 𝐫𝐢𝐬𝐨𝐫𝐬𝐞 𝐦𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐭𝐞 per portare a termine il compito. L’alunno usa risorse appositamente predisposte dal docente per accompagnare il processo di apprendimento o, in alternativa, ricorre a risorse reperite spontaneamente nel contesto di apprendimento o precedentemente acquisite in contesti informali e formali;
d) la 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢𝐧𝐮𝐢𝐭𝐚̀ nella manifestazione dell'apprendimento. Vi è continuità quando un apprendimento è messo in atto più volte o tutte le volte in cui è necessario oppure atteso. In alternativa, non vi è continuità quando l’apprendimento si manifesta solo sporadicamente o mai. Questo aspetto della valutazione si vedrà riportata nelle Schede di Valutazione del I° e del II° quadrimestre ma anche in particolari prove autentiche predisposte dagli insegnanti in corso d’anno; si tratta di compiti volti a valutare le competenze, non solo le conoscenze e le abilitò conseguite.
𝟐. La valutazione in itinere prende in considerazione, nello specifico, conoscenze e abilità, senza le quali la competenza non può essere raggiunta. 𝐂𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐥𝐞 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐟𝐢𝐜𝐡𝐞? Sì, certamente ma non saranno più valutate con un voto numerico bensì con un giudizio, un commento descrittivo relativo ai punti di forza e/o di debolezza, quelli su cui si deve ancora lavorare.
𝟑. Valutazione oggettiva d’Istituto: si effettua per classi parallele (tutte le prime, tutte le seconde...) per valutare dei livelli in funzione delle Prove Invalsi e della Certificazione delle Competenze per le classi quinte
Fino ad ora una riflessione teorica e di “buon senso” ma è assolutamente necessario fare delle osservazioni di carattere pratico!
- 𝐂𝐡𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐛𝐥𝐞𝐦𝐢 𝐡𝐚 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐥’𝐚𝐯𝐯𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐑𝐢𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐚𝐝 𝐀𝐧𝐧𝐨 𝐒𝐜𝐨𝐥𝐚𝐬𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐠𝐢𝐚̀ 𝐚𝐯𝐯𝐢𝐚𝐭𝐨? In una sola parola...SHOCK!
È innegabile che nessuno si auspicasse una rivoluzione del genere
durante un quadrimestre nel quale gli insegnanti avevano già valutato attraverso i voti numerici: cambiare in funzione della valutazione del I° quadrimestre ha costretto tutti a modificare la propria forma mentis e, assicuro che non è stato facile: un confronto tra voto e livello è praticamente impossibile ma, come sempre, gli insegnanti si sono messi in gioco:
hanno seguito puntualmente seminari di formazione, si sono documentati, hanno svolto numerose riunioni collegiali e, a fatica, hanno raggiunto l’obiettivo, perché valutare la prestazione con un voto non può essere equivalente a valutare un livello di apprendimento con i parametri citati sopra.
- 𝐈 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐬𝐭𝐫𝐢 𝐄𝐥𝐞𝐭𝐭𝐫𝐨𝐧𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨?
Mi sento di rispondere che hanno avuto un ruolo fondamentale: si sono adeguati strada facendo attraverso un contatto continuo ed efficace con ogni singola scuola, anche trovando il modo di personalizzare gli obietti e la grafica per la valutazione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali.
- 𝐀 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐨𝐫𝐚?
Ora che il I° Quadrimestre si è concluso, possiamo dire che siamo giunti allo snodo fondamentale: come effettuare le prove in itinere: come rendere la valutazione veramente formativa per il II° quadrimestre? Come far capire a genitori ma, soprattutto, ai bambini e ai ragazzi che questa riforma è un cambiamento profondo, di concetto, e non solo un mero cambio di facciata?
Questa è e sarà la vera sfida. Tutte le scuole stanno lavorando in questo
senso e gli insegnanti sono consapevoli della necessità di crescere professionalmente in questo senso. Certamente non sarà facile, sarà un processo graduale e, per alcuni, particolarmente difficile ma, proprio perché la riforma è arrivata in corso d’anno, sarà come togliere un cerotto: uno strappo doloroso che, però, farà guarire bene la ferita!
Articolo e immagine di 2021 © Elena Calzighetti 9 febbraio 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐧𝐢
CAMINITI: ABOLIAMO I VOTI ANCHE ALLE MEDIE
intervista di Focus Scuola a Gianni Caminti, di Barbara Leonardi
È un sistema classista che pregiudica il futuro dei ragazzi
I voti numerici? Non misurano un bel nulla e fanno danno. Non usa mezzi termini, Gianni Caminiti, psicologo, ma anche regista, musicista, scrittore ed editore, nell’accogliere con favore la decisione di abolirli per lo meno alla primaria. «Da anni nei miei corsi parlo dell’assurdità del voto numerico. Usiamo il sistema ordinale ma che cosa valutiamo in realtà? Se io abito al civico 2 e tu al civico 8 possiamo dire che il 2 viene prima dell’8. Ma se dicessimo che in media abitiamo al 5 diremmo una castroneria. Quando faccio questo esempio tutti i docenti sono d’accordo, il problema è che danno i voti nella stessa maniera. Se assegno un 6 a un tema e poi do un 5, vuol dire che questo compito è inferiore all’altro ma non c’è un’unità di misura e quindi fare la media è un vulnus, un danno. Se poi vado a sommare un 7 preso in un tema, un 5 in grammatica, un 6 in un’interrogazione, sto sommando pere, mele e banane e poi le divido per tre: il danno è ancora più importante».
La media di tutte le materie
Rincara Caminiti: «E vogliamo parlare del giudizio finale alla secondaria di primo grado in cui si fa la media di tutte le materie? Una media avrebbe senso se potessi usare scale metriche, ma queste non sono applicabili a nessuna delle materie che si insegnano a scuola, fatta eccezione per educazione motoria. Per tutto il resto, l’esposizione conta moltissimo e il giudizio, per forza di cose, è soggettivo». Per spiegarsi meglio Caminiti ricorre al paragone con lo sport. «È evidente che chi salta più in alto vince. Però ci sono sport dove per decretare chi ha vinto servono dei giudici. E non un giudice solo, tanti. Proprio per stemperare il vulnus del giudizio soggettivo. Per esempio, nei tuffi. La regola vuole che si scartino il giudizio più alto e quello più basso e poi si faccia la media dei voti moltiplicandola per il coefficiente di difficoltà del tuffo. Un meccanismo complesso che riduce, ma non azzera l’ingiustizia, tanto che nessun tuffatore ha mai vinto l’oro senza essere passato prima per un bronzo, perché il giudizio non è indipendente dalla conoscenza della persona. Quindi dobbiamo interrogarci a fondo: che cosa misuriamo con il voto numerico? Nulla. Tranne in ginnastica. Il voto numerico non è mai servito a niente se non a stabilire ordinalmente che quel compito è migliore del tuo. Quindi a fare qualcosa di dannoso, a dividere gli studenti in caste, la seriazione umana». Caminiti i voti numerici li abolirebbe senza dubbio anche alle medie. Tra l’altro, questi numeri decretano il futuro dei ragazzini che all’uscita dalla secondaria di primo grado magari non possono iscriversi ai licei “blasonati”. Un limite reso ancora più ingiusto dalla mancanza di un criterio uniforme di valutazione. I voti cambiano a seconda delle zone, delle scuole, degli insegnanti all’interno di uno stesso istituto: alcuni assegnano al massimo 8, altri 10... «Non solo: in una classe, dove tutti vanno bene, la soglia della sufficienza viene alzata, così come in una classe dove tutti vanno male viene abbassata» osserva Caminiti. «Questo sistema è classista e pregiudica il futuro dei ragazzi. Il 30% non arriva al diploma. È colpa di una scuola che non insegna, ma seleziona. La selezione per avere senso deve prevedere in partenza quanti arriveranno in fondo. Se un Comune emette un bando per tre geometri, non importa quanti si iscriveranno: solo tre verranno assunti. La scuola no, deve portare le persone (meglio se tutte!) da un livello di non competenza a un livello di competenza». Invece, sempre più licei pongono paletti all’ingresso, accettano solo chi ha medie alte. «Questo lede il diritto allo studio. Non possiamo cambiare la realtà di un adolescente? In un Paese dove persino la carcerazione è riabilitativa?».
Diventare competenti
La riforma vorrebbe spingere i docenti ad adottare criteri di valutazione per competenze: sarebbe corretto? «Speriamo! Il voto numerico nel 99% dei casi certifica solo le conoscenze, ma queste non sono fondamentali: se non so una cosa, in cinque minuti la trovo su Internet. Quello che ci viene chiesto, anche dal mondo del lavoro, è invece di essere competenti, di risolvere problemi nuovi. Su questo dovrebbero essere misurati gli studenti. Gli insegnanti dovrebbero interrogarsi sul valore delle conoscenze che trasmettono: sono stabili o temporanee? Se ripeto a pappagallo quello che ho studiato la sera prima prendo 9, ma cosa mi rimane dopo un mese? Un’abilità, invece, indica che io quelle cose le maneggio. E una competenza certifica che usando le mie conoscenze e le mie abilità riesco a risolvere situazioni nuove». Certamente, ma come valutarla? «In un corso a Vimercate ho chiesto ai docenti di scrivere su un bigliettino cosa pensavano fosse la sufficienza. Sono arrivate 120 risposte, le ho clusterizzate: tre pagine! Noi pensiamo di parlare della stessa cosa e invece no. Prima di tutto dovremmo concordare sul significato di sufficienza: che cosa riteniamo che tu alla tua età debba saper fare per stare al mondo. Nel momento in cui raggiungi quella competenza ce l’hai fatta: il 6 significa che ce l’hai fatta, non il 7, l’8 o il 9. E il 5? Quel voto dice che al momento non ce l’hai fatta, ma ce la farai. Che cosa significa? Faccio un esempio. Una competenza è saper sollevare questa tazza. Ci provo e sbaglio tante volte, quindi prendo tanti 4, o 5 se ci sono quasi riuscito. Ma se alla fine dell’anno riesco a farlo, perché mi devi rimandare a settembre? Io quella competenza l’ho raggiunta!».
Il valore dell’errore
Il fatto che l’apprendimento sia essenzialmente una progressione, in effetti, fa a pugni con la media matematica calcolata sullo storico dei voti. Se un ragazzino è partito dal 4 e arriva all’8, si merita forse 9 per lo sforzo che fa fatto, non 6 come indica la media. «Certo, e se uno ha preso 4, 4 e 6 in fondo all’anno, che cosa si merita? Di essere promosso! Se fai fare una cosa, passi al gradino dopo. E se non la sai fare? Vuol dire che per quella prova non sei ancora pronto, ma ce la farai. Non è una questione di impegno, ma di tempo: il numero di prove necessarie per riuscirci. Il dramma è che senza errore non c’è apprendimento, ma appena sbagli rischi l’anno. I ragazzi che sbagliano vengono etichettati subito e questo li frena dal riprovare, abbandonano la partita». Resta il problema di come si valutano le competenze... «Quando certifico la competenza di qualcuno, verifico che si sa muovere collegando saperi diversi, facendo interferenze. Per valutare la competenza serve una prestazione complessa. Bisogna fare progetti, mettere i ragazzi di fronte a problemi nuovi e vedere come se la cavano. Dobbiamo fare in modo che il docente, pur nella sua soggettività, possa certificare una competenza che, badate bene, è solo temporanea, va mantenuta nel tempo». I docenti saranno in grado di cogliere lo spirito della riforma, o tutto si risolverà in uno scambio di etichette, giudizio al posto del numero? «Il fatto che il voto non compaia più in pagella per me è già molto; la paura però è che poi si trovi la formula verbale per significare 6, 7, 8, 9 e 10. Serve molta formazione. Anche i docenti ora devono dimostrare di essere competenti, cioè di saper uscire dalle etichette. Certo, non bisogna limitarsi a usare sufficiente, buono, discreto su scala ordinale».
Intervista a Gianni Caminiti Focus Scuola gennaio 2021
Nella foto uno screenshot della testata
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐑𝐄𝐋𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐒𝐂𝐔𝐎𝐋𝐀-𝐅𝐀𝐌𝐈𝐆𝐋𝐈𝐀: 𝐈𝐋 𝐂𝐎𝐋𝐋𝐎𝐐𝐔𝐈𝐎 𝐈𝐍𝐃𝐈𝐕𝐈𝐃𝐔𝐀𝐋𝐄 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐑𝐈𝐒𝐎𝐑𝐒𝐀
𝐷𝑎𝑙 𝑠𝑖𝑛𝑔𝑜𝑙𝑜 𝑝𝑢𝑜̀ 𝑛𝑎𝑠𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑙’𝑖𝑑𝑒𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑖𝑛𝑣𝑜𝑙𝑔𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜, 𝑝𝑒𝑟𝑜̀ 𝑙’𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑖𝑟𝑎𝑡𝑎 𝑎𝑑 𝑢𝑛 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜, 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜𝑙𝑜, 𝑒̀ 𝑝𝑟𝑒𝑟𝑜𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑙𝑢𝑟𝑎𝑙𝑒: 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒 𝑠𝑖 𝑝𝑢𝑜̀ 𝑟𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑔𝑒𝑟𝑒 𝑙’𝑜𝑏𝑖𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜.
La scuola e la famiglia si trovano ad avere in comune lo stesso obiettivo educativo: portare allo scoperto tutte quelle potenzialità del bambino che gli permetteranno di affrontare nel miglior modo possibile la vita.
Ma di chi si parla nel colloquio? Del figlio o dell’alunno?
In genere, l’insegnante si riferisce all’allievo, ai suoi compiti di apprendimento, alla sua maturazione cognitiva e affettiva, mentre il genitore racconta del proprio bambino, dei suoi progressi educativi, dei legami familiari, dei suoi hobbies o dei suoi interessi.
𝐋𝐚 𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐢𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐢𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐞̀ 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐞̀ 𝐝𝐨𝐜𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢𝐬𝐩𝐨𝐧𝐝𝐨𝐧𝐨 𝐭𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨. Non si potrà stabilire alcuna collaborazione efficace tra scuola e famiglia fino a quando il figlio non diventerà, per il genitore, un allievo in formazione: solo in questo modo il genitore sarà disponibile a considerare i bisogni del proprio figlio legati alla dimensione dell’apprendimento.
La collaborazione tra scuola e famiglia trova la sua massima espressione nel colloquio tra insegnanti e genitori ma i docenti, pur utilizzando lo strumento del colloquio in tutte le occasioni di incontro con i genitori, spesso ne ignorano i vantaggi e l’uso efficace.
𝐏𝐚𝐫𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐦𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐥𝐞𝐜𝐢𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐝’𝐚𝐧𝐢𝐦𝐨, 𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐞 𝐢𝐧𝐚𝐭𝐭𝐞𝐬𝐢.
Il colloquio didattico ha come obiettivo principale quello di confrontare e arricchire le conoscenze che gli interlocutori hanno sull’allievo al fine di indurre un mutamento di comportamenti.
Durante il colloquio, le prime conoscenze da acquisire sono quelle relative alla personalità dell’allievo, in quanto sia il genitore che l’insegnante ne hanno una percezione parziale.
L’insegnante conosce l’allievo solo con riferimento ai processi di apprendimento ma ridurre l’intera personalità del bambino all’allievo comporta una conoscenza circoscritta a precisi comportamenti in un determinato ambiente.
D’altro canto il genitore conosce il figlio come la persona che vive a casa ma non sa nulla dell’allievo alle prese con i grandi compiti dell’apprendimento.
𝐈𝐥 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐨𝐪𝐮𝐢𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐩𝐞𝐫 𝐨𝐬𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐠𝐥𝐢 𝐨𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨 𝐞 𝐢𝐧𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐥’𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨 𝐚 𝐨𝐬𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐥𝐞𝐧𝐭𝐢.
Un secondo obiettivo di un colloquio didattico è quello di creare una relazione gratificante tra insegnante e genitore al fine di costruire un’alleanza favorevole al benessere dell’allievo a scuola.
Alla base di una relazione positiva c’è la comprensione dell'altro. Questo in genere predispone gli interlocutori a una 𝐫𝐞𝐜𝐢𝐩𝐫𝐨𝐜𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞𝐦𝐩𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚.
Gran parte del buon risultato del colloquio didattico è affidato a qualità personali dell’insegnante, quali l’apertura mentale, la tranquillità, la naturalezza, l’immedesimarsi nella situazione sociale e culturale dell’altro, mostrando di sapere ascoltare e di avere interesse nei confronti dell'altro.
L’insegnante conduttore di un colloquio efficace mostra aspetti significativi: la capacità di prendersi cura dell'altro, la motivazione a seguire il proprio lavoro, impegnarsi nei compiti assegnati, la disponibilità a entrare in contatto con gli altri, l'attitudine a mettersi nei panni degli altri, la capacità di entrare empaticamente in relazione con l'altro, la padronanza a conservare un atteggiamento neutrale e rispettoso della persona.
Un buon conduttore di colloquio dovrebbe sostenere l'accoglienza dei sentimenti dei genitori a volte contraddittori e complessi, cogliendone le ansie e le paure che si celano dietro le resistenze o le critiche, senza intenderle come attacco alla propria professionalità.
Quindi, quali sono le basi di un buon colloquio scuola-famiglia? Quali sono le fondamenta di un 𝐂𝐎𝐋𝐋𝐎𝐐𝐔𝐈𝐎 𝐏𝐀𝐑𝐓𝐄𝐂𝐈𝐏𝐀𝐓𝐎?
- Per rendere concreta la partecipazione delle famiglie al percorso formativo del proprio bambino, occorre individuare modalità e strumenti che, nel profondo rispetto dei reciproci ruoli, consentano di dar vita al dialogo educativo e di mantenerlo nel tempo.
- Tale dialogo non si improvvisa, è il risultato di un percorso che parte dalla costruzione della fiducia, del rispetto e della disponibilità all’ascolto e dal confronto aperto tra le aspettative dei genitori e l’offerta formativa della scuola.
- Questo è valido per ogni bambino e in particolare, diventa essenziale quando ci troviamo di fronte a bambini con bisogni educativi speciali.
- Siamo attenti a scegliere strategie relazionali e di comunicazione affermative, a gestire con cura i colloqui personali e gli incontri.
È necessario quindi:
- Conoscere le regole e le modalità della comunicazione interpersonale
- Essere consapevoli di ciò che accade, a livello verbale e non verbale
- Conoscere il proprio stile comunicativo (passivo, aggressivo, affermativo)
- Il colloquio è un mezzo per raccogliere informazioni, dati, notizie (contenuti del colloquio) ma anche una situazione che coinvolge i partecipanti in una relazione (processo interattivo).
- Nel colloquio conosciamo aspetti, idee, comportamenti di ciascuno, al tempo stesso stabiliamo un contatto interpersonale, in una situazione di “circolarità” che consenta efficacia e autenticità. Ogni colloquio dovrebbe favorire la crescita reciproca, aiutare ciascuno a leggersi dentro e a scoprire proprie capacità, limiti e possibilità. È opportuno conoscere le tecniche per la gestione del colloquio in modo da essere sempre consapevoli del proprio ruolo e per connotare l’incontro in modo non direttivo o maggiormente guidato a seconda degli scopi che ci proponiamo.
In generale ogni colloquio richiede attenzione e cura verso alcune condizioni generali irrinunciabili, come:
- il luogo e il tempo: ricevere in un’aula accogliente, dare a chi aspetta fuori delle sedie per attendere comodamente, rispettare la durata del colloquio e dare il giusto spazio al genitore sono fondamentali per la buona riuscita di un colloquio partecipato;
- il modo di accogliere dev’essere cordiale, con un sorriso, con una stretta di mano…COVID permettendo;
- la fase introduttiva: un “Mi dica: come vede suo figlio?” getta le basi per affrontare argomenti più ostici;
- la messa a fuoco degli elementi essenziali: chiarezza con pochi ma definiti punti di riflessione;
- la documentazione
- il segreto professionale
- Definiamo lo scopo del colloquio: ad esempio, condividere i progressi raggiunti e altri aspetti sui quali stiamo lavorando, per procedere in sintonia tra scuola e famiglia.
- Evidenziamo alcuni aspetti positivi rispetto al comportamento e all’apprendimento.
- Esprimiamo gli aspetti che ci preoccupano e come stiamo lavorando per aiutare il bambino: descriviamo gli aspetti problematici individuati, mostrando elaborati del bambino e facendo degli esempi, leggendo assieme la scheda preparata nella quale abbiamo descritto cosa fa il bambino e come lo fa, raccontiamo punto per punto cosa stiamo facendo a scuola per potenziare questi aspetti.
- Approfondiamo il dialogo con i genitori, chiedendo se anche a casa si manifestano comportamenti simili e come loro aiutano il bambino, se e quando si trovano in difficoltà, se hanno suggerimenti da dare…;
- Prevediamo come esprimere l’eventuale bisogno di confrontarci con esperti per poter proseguire in modo più mirato il percorso (teniamo pronti nominativi e numeri di telefono da dare alla famiglia, nel caso sia la prima volta che vi ricorrono; descriviamo le varie possibilità che vi sono)
- Orientiamoli nella scelta se sono disponibili, assicuriamo la nostra collaborazione e disponibilità a parlare assieme a loro con gli specialisti…; (se il bambino è già seguito da esperti avremo già dialogato con loro o lo potremo fare in seguito assieme alla famiglia).
- In ogni caso (sia quando i genitori rifiutano di cercare aiuto in un esperto o anche se i genitori accettano di avvalersene), facciamo la proposta di lavorare assieme su uno o due aspetti tra quelli individuati, definendo bene su cosa agire e come (condividiamo pochi elementi e circoscritti in modo da avere maggiori garanzie di collaborazione).
- Fissiamo un appuntamento a breve scadenza per verificare come stiamo procedendo, a scuola e a casa, rispetto agli aspetti individuati.
𝐷𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑏𝑢𝑜𝑛𝑎 𝑟𝑒𝑙𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑓𝑟𝑎 𝑑𝑜𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒 𝑔𝑒𝑛𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑐𝑖 𝑔𝑢𝑎𝑑𝑎𝑔𝑛𝑒𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑠𝑖𝑎 𝑖𝑙 𝑑𝑜𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖. 𝐺𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒 𝑎𝑑 𝑒𝑠𝑠𝑎 𝑙’𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑝𝑜𝑡𝑟𝑎̀ 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑖𝑡𝑢𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑜 𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑞𝑢𝑜𝑡𝑖𝑑𝑖𝑎𝑛𝑖𝑡𝑎̀ (𝑇ℎ𝑜𝑚𝑠𝑜𝑛 𝑒𝑡 𝑎𝑙 2004).
Tramite una buona relazione il docente può avanzare aspettative positive nei confronti di uno studente. Farebbe sorgere anche nei genitori delle aspettative realistiche e attendibili verso il proprio figlio..
Articolo e immagine di 2021 © Elena Calzighetti 12 gennaio 2021
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐋𝐀 𝐑𝐄𝐋𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐂𝐔𝐎𝐑𝐄 𝐄 𝐅𝐈𝐀𝐌𝐌𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐅𝐎𝐑𝐌𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄
𝐿’𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑑𝑎 “𝑖 𝑚𝑖𝑒𝑖 𝑎𝑙𝑢𝑛𝑛𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑡𝑒𝑟𝑟𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖” 𝑎 “𝐷𝑒𝑣𝑜 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑎𝑟𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑒𝑧𝑧𝑖 𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑢𝑛𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑠𝑒𝑟𝑒𝑛𝑎”...𝑁𝑂𝑅𝑀𝐴𝑇𝐼𝑉𝐸 𝐴𝑁𝑇𝐼-𝐶𝑂𝑉𝐼𝐷 𝑝𝑒𝑟𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒𝑛𝑑𝑜!
“𝑈𝑛 𝑐𝑙𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑒̀ 𝑢𝑛 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑖𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑙 𝑏𝑒𝑛𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒”.
(𝑊𝑒𝑛𝑡𝑧𝑒𝑙,1997)
Creare relazioni in classe non è mai semplice ma è necessario che i docenti sviluppino la loro EMPATIA e ritrovino questa cassetta degli attrezzi, ne riscoprano le potenzialità attraverso numerosi stimoli, quindi occorre:
• leggere, decodificare e gestire le dinamiche all'interno della scuola
• affinare le capacità di conduzione del gruppo-classe
• arricchire la cassetta degli attrezzi di strumenti metodologici facilitanti l'attenzione, l'apprendimento e la partecipazione dei bambini, trasformando situazioni problematiche in occasioni di apprendimento.
Questo è certo: gli insegnanti hanno, o dovrebbero avere, gli strumenti giusti per affrontare le differenti dinamiche relazionali presenti in classe ma è anche vero che le difficoltà da affrontare sono molteplici:
• classi numerose •multietniche/multiculturali
• multiproblematiche
• diversità e mancanza di tempo e di risorse
Il gruppo classe deve essere inteso come gruppo di apprendimento in cui gli aspetti relazionali vanno adeguatamente gestiti, in quanto la relazione è essa stessa elemento fondamentale che veicola e stimola gli apprendimenti. La classe, ne consegue, fin dalla sua formazione presenta una storia unica e singolare, è un sistema aperto con caratteristiche sue proprie, non riconducibili a quelle dei suoi membri presi isolatamente: ha regole implicite valide solo al proprio interno e cresce nutrendosi delle interazioni e relazioni tra i suoi membri. I quattro fattori che sembrano avere un'influenza diretta sui risultati dell'apprendimento e dei comportamenti presenti a scuola sono: le aspettative riguardo ai risultati degli studenti, l'ambiente ordinato, le buone relazioni in classe a livello orizzontale e verticale e l'ambiente fisico della classe. In sintesi, la qualità del clima classe riflette le caratteristiche della relazione insegnante -allievi e fra gli allievi stessi. Un clima positivo nella classe si sviluppa quando gli insegnanti si comportano in modo “facilitante”, utilizzando strategie centrate sul singolo, ponendosi in un atteggiamento autorevole in cui esprimono il loro interesse per lo studente, ma non in quanto studente bensì come persona. Il PRENDERSI CURA è quindi la chiave della nostra “cassetta degli attrezzi”.
L'insegnante, quindi, mette in atto delle strategie per:
• Stabilire un produttivo ambiente di lavoro
• Promuovere l'interesse degli allievi nei confronti delle attività
• Incoraggiare la partecipazione dei propri alunni nelle attività di classe
La 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢𝐝𝐚𝐭𝐭𝐢𝐜𝐚 ha un valore assoluto. Una buona gestione della classe si fonda sull'abilità di comunicare in modo chiaro e preciso e occorre dare consegne in modo che gli allievi possano metterle in pratica senza equivoci. Talvolta ciò non accade e la responsabilità viene scaricata sugli allievi “sono maleducati, non vogliono impegnarsi, non stanno attenti... La prima cosa che dobbiamo fare è dunque chiederci com’è la consegna che abbiamo dato: più le comunicazioni lasciano libertà interpretative, meno sono efficaci, perché i bambini vi trovano margini di libertà e, di conseguenza, possono trovare spazio al disimpegno.
La 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐯𝐞𝐫𝐛𝐚𝐥𝐞 e il controllo prossimale sono efficaci strategie di facilitazione all’interno del gruppo classe. Il controllo prossimale ha luogo quando intenzionalmente ci si avvicina fisicamente all'allievo che sta disturbando l'attività in classe. Possono essere usate diverse modalità di controllo prossimale: orientare il proprio corpo verso l'allievo, camminare verso di lui, mettergli una mano sul banco, toccare o rimuovere un oggetto che ha creato distrazione, poggiare con gentilezza la mano sulle spalle o sul braccio... “l'essenza del controllo prossimale è di offrire all'insegnante un supporto efficace per controllare la classe alternativo alla comunicazione verbale” Long Morse-Fagen 1996”. Anche il controllo “oculare” può essere molto efficace: spalancare gli occhi.... per confermare, socchiudere gli occhi....per bloccare, fissare lo sguardo...per ammonire: non ci sono solo le parole! Anche le espressioni facciali possono essere di grande aiuto perché l'espressività del viso permette di comunicare contemporaneamente a più persone messaggi diversi. Si possono usare le 𝐞𝐬𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐟𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢
per manifestare sconcerto per un comportamento negativo, bloccandolo sul nascere, mostrare rammarico per un atteggiamento scorretto, manifestare approvazione, elogiando con la sola espressione del viso, entrare in sintonia e mostrare complicità. Anche 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐩𝐢𝐞𝐝𝐢 fra i banchi, serve ad accorgersi subito se un allievo ha difficoltà a svolgere un compito, se ha bisogno di ulteriori indicazioni perché la velocità dell'intervento aiuta a creare un clima di classe positivo considerando che i comportamenti inadeguati dal punto di vista disciplinare sono messi in atto per lo più lontano dall'insegnante: la sola presenza del docente, spesso, è sufficiente a prevenire comportamenti indisciplinati. Lo stare in piedi permette al docente di governare la situazione sia sul piano comportamentale sia su quello didattico.
Anche 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐥𝐚𝐬𝐬𝐞 ha estrema importanza. Queste le caratteristiche che deve assumere la voce ai fini educativi: parlare con toni sicuri perché la voce deve comunicare con chiarezza i desideri del docente, i suoi comandi, le sue aspettative senza esitazioni, parlare con voce alta senza urlare perché tutti ascoltano meglio un tono di voce forte, chiaro; in ogni angolo dell'aula la parola del docente deve arrivare con limpidezza sollecitando l'attenzione, parlare rispettando gli altri perché parlare ad alta voce non significa prevaricare le idee degli alunni. Parlare uno per volta: mentre parla, l'insegnante pretende che i ragazzi lo ascoltino in silenzio, a sua volta deve fare silenzio quando un allievo esprime la propria opinione, parlare con tono di voce fermo, ma non aggressivo, quando si rimproverano comportamenti negativi. Sarebbe bene anche evitare il sarcasmo, l'ironia, la canzonatura. Ciò non significa che non si possono fare battute divertenti, anzi, una battuta al momento giusto, spesso, salva la lezione ma sarebbero da evitare il sarcasmo e l’ironia indirizzate ad un singolo alunno, magari sempre lo stesso, perché si perde di credibilità.
𝐈𝐥 𝐜𝐥𝐢𝐦𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐢𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐬𝐜𝐮𝐭𝐢𝐛𝐢𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐚𝐥 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐥'𝐚𝐥𝐥𝐢𝐞𝐯𝐨. Occorre rispettare l'allievo anche quando commette azioni inappropriate, serve avere per gli allievi attenzioni personali e offrire a tutti le medesime attenzioni, infatti ciò che può inficiare un clima di classe positivo sono le gelosie che nascono quando gli alunni non sono trattati con equità. Le 𝐚𝐭𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 sono assolutamente prioritarie: sorridere per promuovere un rapporto positivo, sollecitare il dialogo, favorire l'accoglienza, evitare il sarcasmo perché l'alunno deriso si percepisce come un corpo estraneo, ricordare i compleanni, usare per primo parole di cortesia. Il docente quindi dà rispetto, si mostra come punto di riferimento, chiama per nome, comunica di avere interesse per gli studenti come persone, trasmette fiducia, si presenta in modo positivo per trasmettere energia, conosce ciò che accade intorno a lui nella classe in modo da essere dentro le dinamiche, 𝐚𝐝𝐞𝐠𝐮𝐚 𝐢𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥'𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐬𝐢𝐧𝐠𝐨𝐥𝐨 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐥'𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐨𝐧𝐝𝐚,, rende corresponsabile la famiglia e aiuta i genitori ad incrementare se non addirittura a creare una autonomia nei figli, trova e definisce dei canali e dei modi per comunicare tra scuola e famiglia riguardo i programmi, i progressi e il comportamento.
Come afferma lo psicoanalista Recalcati: “La scuola non può essere solo scrutini. Essere presenti è il primo principio della cura”. Proprio su questa impellente necessità la scuola è tenuta alla valutazione per competenze, oltre che alla valutazione degli apprendimenti, i docenti devono attivare una valutazione formativa, non solo quella sommativa ed è su questa grande riflessione che si stanno modificando i criteri di valutazione della Scuola Primaria, tenendo conto, cioè, dei processi di apprendimento e degli atteggiamenti verso il Sapere.
In sostanza: 𝐥'𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢𝐧𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐚𝐜𝐢𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐦𝐢𝐧𝐮𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐥𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐜𝐢𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐦𝐢𝐧𝐮𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐚𝐭𝐞, 𝐯𝐚𝐥𝐠𝐨𝐧𝐨 𝐢𝐥 𝐝𝐨𝐩𝐩𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐭𝐚 𝐦𝐢𝐧𝐮𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞. (Anonimo)
Articolo e immagine di 2020 © Elena Calzighetti 8 dicembre 2020
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐋𝐎 𝐒𝐓𝐄𝐍𝐃𝐈𝐏𝐀𝐍𝐍𝐈 𝐄𝐃 𝐀𝐋𝐓𝐑𝐄 𝐀𝐌𝐄𝐍𝐈𝐓𝐀̀
𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑙’𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑒𝑣𝑜𝑙𝑣𝑒 𝑒 𝑠𝑖 𝑟𝑖𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎, 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑙𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑒𝑛𝑑𝑒 “𝑙𝑎 𝑙𝑎𝑚𝑝𝑎𝑑𝑖𝑛𝑎”, 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑓𝑙𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑒𝑡𝑜𝑑𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐𝑎 𝑒 𝑑𝑖𝑑𝑎𝑡𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑓𝑎 𝑙𝑎 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎.
𝐋𝐀 𝐏𝐀𝐑𝐎𝐋𝐀, dal dizionario: “𝑁𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑡𝑒𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑙𝑖𝑛𝑔𝑢𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑟𝑛𝑎, 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑎 𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎̀ 𝑖𝑠𝑜𝑙𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑎𝑙𝑙'𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑟𝑎𝑠𝑒, 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑢𝑛𝑜 𝑜 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑓𝑜𝑛𝑒𝑚𝑖, 𝑑𝑜𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑠𝑖𝑔𝑛𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑎𝑢𝑡𝑜𝑛𝑜𝑚𝑜 𝑓𝑜𝑛𝑑𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑜 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑖𝑛𝑡𝑎𝑡𝑡𝑖𝑐𝑎...”.
Scrivere della parola come unità isolabile ma fondamentale della lingua presuppone riflessioni ampie sulle modalità di apprendimento della lingua madre, quella naturale, e una riflessione più ampia sull’apprendimento della seconda lingua, in questo caso la lingua inglese che, gli alunni della Scuola Primaria, cominciano a conoscere con più regolarità a partire dal loro ingresso a scuola.
Ma andiamo con ordine: come si apprende una lingua, che sia essa naturale o seconda?
Le modalità di apprendimento, secondo varie teorie linguistiche e di glottodidattica, si fondano, in modo sintetico, su questi principi:
1. Ascolto: il neonato assorbe linguisticamente le parole dei genitori;
2. Ripetizione della parola-significato: TA per indicare un oggetto, TATA per indicare una persona, PAPPA, NANNA, MAMMA, PAPÀ e così via...
3. Ripetizione della frase;
4. Produzione autonoma orale della frase nella sua struttura comunicativa base: VOIO LA PAPPA, VIENI A GIOCARE...
5. Produzione della frase oralmente, nella sua struttura complessa e sintatticamente corretta: ANDIAMO AL PARCO GIOCHI? È PRONTA LA PASTA? FACCIAMO UN DISEGNO...
6. Produzione scritta: scrittura della parola e della frase a partire dai cinque-sei anni;
7. Riflessione linguistica e analisi: analisi grammaticale a partire dalla seconda, terza classe della Scuola Primaria.
Nel mio percorso di insegnamento, fino a circa quindici anni fa, anche io ho sempre seguito questo percorso: presentazione dell’analisi grammaticale per prima, solo in seguito l’analisi logica, ma ho sempre avuto una strana sensazione che mi accompagnava: una sensazione che mi diceva che qualcosa non funzionava…come posso pretendere che i miei alunni scrivano una testo, seppur breve, in seconda elementare se per fare un testo serve conoscere la costruzione della frase, non l’analisi della parola? Un giorno, finalmente, mi sono imbattuta in un bellissimo corso di formazione sulla COMUNICAZIONE AUMENTATIVA (CAA) che è un approccio dai vari volti, ma dallo scopo univoco di offrire alle persone con bisogni comunicativi complessi la possibilità di comunicare tramite canali che si affiancano a quello orale, la comunicazione aumentativa utilizza simboli grafici e/o simboli cognitivi per sostituire la parola-nome o la parola-significato…lì ho avuto l’illuminazione: avrei trovato il modo di far comprendere la costruzione della frase fin dalla classe prima, attraverso i colori che, a poco a poco, sarebbero diventati la nostra base per l’analisi logica, per la conoscenza dei sintagmi, per la costruzione della frase e, quindi, del testo.
IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA SOSTITUISCE LA PAROLA STESSA, LA PAROLA È IL MEZZO, NON IL FINE.
Così nasce lo STENDIPANNI: un semplice filo appeso in classe con i cartellini ben stesi sopra:
il cartellino rosso è sempre il CHI? CHE COSA?, cioè il SOGGETTO
il cartellino verde chiaro è sempre il COSA FA?, cioè il PREDICATO VERBALE
il cartellino verde scuro è sempre il COM’È?, cioè il PREDICATO NOMINALE
il cartellino blu è sempre il CHI? CHE COSA?, cioè il COMPLEMENTO OGGETTO.
e così via, la frase si allarga e cresce e acquista di significato. I bambini non sanno subito la funzione sintattica del cartellino ma apprendono che per costruire una frase servono sempre il cartellino rosso e quello verde e apprendono che basta aggiungere cartellini e la frase si allarga, solo in seguito impareranno a conoscerne la funzione e, all’interno della funzione stessa, il valore grammaticale: IL CANE, cartellino rosso, è soggetto ed è formato da un articolo determinativo con un nome comune di animale maschile singolare.
In generale, quindi, ritengo che a scuola, come nella vita d’altro canto, contano di più i significati delle parole stesse: la scelta dei significati e delle funzioni è prioritaria rispetto alla singola unità verbale.
Nell’apprendimento della lingua straniera, in questo caso della lingua inglese, questa progressione naturale è avvalorata degli studi del linguista americano 𝐍𝐎𝐀𝐌 𝐂𝐇𝐎𝐌𝐒𝐊𝐘 che sostengono quanto la COMPETENZA COMUNICATIVA si debba fondare su questi principi:
1. A differenza della didattica tradizionale, che attribuiva la massima importanza alla correttezza grammaticale delle espressioni linguistiche, gli orientamenti più recenti privilegiano l’EFFICACIA COMUNICATIVA, tanto nella forma scritta che nella forma parlata.
2. Questa nozione si lega quindi all’acquisizione, da parte di chi impara una lingua, della competenza comunicativa: ossia di una ABILITA’ MENTALE che si manifesta attraverso la capacità di realizzare atti linguistici appropriati alla concreta situazione comunicativa in cui il bambino si trova inserito. La distinzione fra CONOSCENZA (sapere), ABILITA’ (saper fare), COMPETENZA (saper-essere).
3. Fra l’altro ciò rinvia alle due nozioni di COMPETENZA (COMPETENCE) e PRESTAZIONE (PERFORMANCE) che sono utili per evidenziare i due aspetti predominanti della comunicazione: uno mentale, l’altro operativo.
4. A sua volta la competenza può essere LINGUISTICA o EXTRALINGUISTICA. Nel primo caso essa riguarda gli aspetti più propriamente linguistici della comunicazione (fonologia, ortografia, morfologia, sintassi, semantica). Nel secondo caso si tratta invece degli aspetti non linguistici che accompagnano l’atto comunicativo (gestualità, distanza, aspetti contestuali e circostanziali, variabili sociolinguistiche e interculturali), che però sono fondamentali per l’insegnante di inglese alla Scuola Primaria.
Ne consegue che, nella Scuola Primaria, il focus deve essere comunicativo e non grammaticale; i vocaboli devono essere inseriti in una frase, in un contesto comunicativo; la lingua deve essere usata prima oralmente e solo successivamente scritta; la riflessione linguistica deve essere finalizzata alla comunicazione e non deve essere fine a se stessa, quindi sarà senza valutazione fino alle ultime classi. Questo approccio porta inevitabilmente a delle riflessioni metodologiche da parte degli insegnanti: tutta la didattica delle lingue dovrà considerare la comprensione e la produzione orale e le attività proposte dovranno essere partecipate, vissute dai bambini, si dovranno superare le timidezze, le paure di sbagliare poiché la priorità è la comunicazione.
Anche per l’inglese ci potranno aiutare la COMUNICAZIONE AUMENTATIVA e il nostro STENDIPANNI perché il soggetto è tale anche in inglese, il predicato pure e così via….il cartellino rosso e quello verde si usano già dalla prima classe, associando il predicato ad un gesto, il battito del piede a terra, in modo che i bambini capiscano che il battito non può mai mancare. Non può mai mancare anche la comunicazione EXTRALINGUISTICA quando l’insegnante mima teatralmente ogni singola parola, ogni singolo costrutto letterale.
La parola, quindi, è alla base del sapere o meglio, dei saperi, la parola come partenza ma anche come mezzo, la parola come specchio del nostro essere, la parola come poesia.
𝑁𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑜 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑎𝑙 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑎𝑏𝑏𝑖𝑎 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎.
𝐴 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑒 𝑛𝑒 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑣𝑜 𝑢𝑛𝑎, 𝑒 𝑙𝑎 𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑜, 𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑚𝑖𝑛𝑐𝑖𝑎 𝑎 𝑠𝑝𝑙𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒.
(𝐸𝑚𝑖𝑙𝑦 𝐷𝑖𝑐𝑘𝑖𝑛𝑠𝑜𝑛)
Articolo e foto di 2020 © Elena Calzighetti 10 novembre 2020
𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚
𝐂𝐑𝐔𝐍𝐂𝐇𝐘,
𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐅𝐎𝐆𝐋𝐈𝐄 𝐃'𝐀𝐔𝐓𝐔𝐍𝐍𝐎
𝐿’𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑟𝑒𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡𝑎̀ 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑆𝑐𝑢𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑟𝑖𝑚𝑎𝑟𝑖𝑎...𝑖𝑛 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑑𝑖 𝐶𝑜𝑣𝑖𝑑, 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑙𝑎 𝑙𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑓𝑟𝑜𝑛𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑖𝑢𝑡𝑎 𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑙’𝑎𝑢𝑡𝑢𝑛𝑛𝑜 𝑓𝑎𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑎 𝑐𝑜𝑙𝑙𝑎𝑏𝑜𝑟𝑎𝑟𝑒.
A distanza da un mese dalla ripresa delle lezioni, possiamo fare delle riflessioni sull’impatto che ha la normativa anti Covid nelle nostre scuole.
La prima considerazione che mi sento di fare è che i nostri alunni, a scuola, sono bravissimi nel rispettare le regole: indossano le mascherine negli spostamenti, rispettano le distanze, si sforzano di pensare giochi alternativi che non prevedano il contatto fisico e quindi dimostrano di essere, chi più, chi meno, assolutamente consapevoli dell’importanza della normativa. Questo a scuola...perché fuori, invece, tale consapevolezza diventa più difficile da applicare perché nei parchi gioco, sui campi da calcio o in tutte le occasioni sociali esterne alla scuola, il distanziamento sociale non è certamente garantito.
La seconda considerazione va alle famiglie che, con grande fatica tra una Circolare e l’altra, tra una comunicazione e il suo esatto contrario, stanno imparando quando e come muoversi in caso di malesseri riconducibili al Covid...complimenti davvero!
Ma ora veniamo alla vita quotidiana nelle nostre aule, già 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐭𝐢𝐦𝐨𝐥𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐭𝐭𝐢𝐯𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐥𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐟𝐚𝐜𝐢𝐥𝐞 𝐢𝐧 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐦𝐚, 𝐢𝐧 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐦𝐞𝐫𝐠𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐬𝐚𝐧𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢𝐚, 𝐥𝐨 𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀. Normalmente le lezioni vengono strutturate, soprattutto alla scuola primaria, pensando a:
- un warm up, un riscaldamento per focalizzare l’obiettivo e per “far entrare” gli alunni nello scopo della lezione;
- presentazione delle informazioni e dichiarazione dell’obiettivo da raggiungere;
- proposta di un’esercitazione guidata per utilizzare le informazioni ricevute;
- controllo dei progressi;
- esercitazione libera, a gruppi o a coppie, con modalità differenti da quella guidata ma con le stesse finalità;
- dare spazio alle domande;
- riepilogo e conclusione.
In generale, anche lo spazio dell’aula e le risorse disponibili hanno un peso enorme nell’apprendimento. Stiamo parlando del 𝐒𝐄𝐓𝐓𝐈𝐍𝐆, cioè
𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑓𝑖𝑠𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑧𝑧𝑎𝑛𝑜 𝑢𝑛𝑜 𝑠𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒 𝑙’𝑎𝑡𝑚𝑜𝑠𝑓𝑒𝑟𝑎 𝑝𝑠𝑖𝑐ℎ𝑖𝑐𝑎 𝑐ℎ𝑒, 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑛 𝑟𝑎𝑔𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒𝑠𝑠𝑒, 𝑙𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑑𝑑𝑖𝑠𝑡𝑖𝑛𝑔𝑢𝑒. 𝐷𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑏𝑎𝑛𝑐ℎ𝑖, 𝑐𝑜𝑙𝑙𝑜𝑐𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑡𝑡𝑒𝑑𝑟𝑎 𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒,
𝑑𝑖𝑠𝑙𝑜𝑐𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑙𝑎𝑣𝑎𝑔𝑛𝑎, 𝑑𝑒𝑖 𝑐𝑎𝑟𝑡𝑒𝑙𝑙𝑜𝑛𝑖, 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑡𝑒𝑐𝑛𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑒: 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑐𝑢𝑖 𝑙’𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑣𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑎𝑙 𝑚𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑑𝑖𝑑𝑎𝑡𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑒𝑔𝑢𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑠𝑢𝑙 𝑚𝑜𝑑𝑜 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑜𝑛𝑜. 𝑁𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎 𝑠𝑢𝑙 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑖𝑛𝑔 𝑒̀ 𝑑𝑖 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑠𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑎 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑎 𝑓𝑎𝑟 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑎𝑟𝑒 𝑙’𝑖𝑛𝑛𝑜𝑣𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 (𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑠𝑢𝑔𝑔𝑒𝑟𝑖𝑣𝑎 𝑔𝑖𝑎̀ 𝐹𝑟𝑒𝑖𝑛𝑒𝑡: “𝑆𝑒 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖 𝑙’𝑎𝑢𝑙𝑎, 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖 𝑙𝑎 𝑑𝑖𝑑𝑎𝑡𝑡𝑖𝑐𝑎”).
(Nuova Didattica)
Ecco, ora il lavoro di coppia o di gruppo non è più contemplato e gli insegnanti si trovano a dover utilizzare la lezione frontale come setting privilegiato. È bene chiarire che la lezione frontale non va demonizzata, anzi, rimane un efficace metodo didattico ma solo per brevi periodi durante la giornata scolastica: è il momento in cui si chiedono l’ascolto, l’attenzione e la capacità di astrazione, è una tecnica di apprendimento passivo ma efficace che però andrebbe alternata con altre tecniche didattiche, definite attive, quali il peer-to-peer, l’apprendimento cooperativo, l’apprendimento laboratoriale, la ricerca sperimentale, la ricerca-azione o il role-playing.
Tutto quindi, dal suono della prima campanella, va ripensato affinché gli alunni possano sperimentare una forma di apprendimento attivo anche in tempi di emergenza sanitaria: non è pensabile che i bambini della Scuola Primaria restino sei ore seduti, nel banco da soli, ad apprendere con la sola lezione frontale. Come fare? Le mie colleghe ed io ci abbiamo pensato, ovviamente, ancor prima del suono della prima campanella e abbiamo deciso di iniziare dai saluti del mattino, il nostro “𝐛𝐮𝐨𝐧𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨” al solito abbraccio o al “𝐛𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐢𝐥 𝐜𝐢𝐧𝐪𝐮𝐞” che erano per noi una bellissima routine. Attendiamo i bambini sulla porta e ognuno di loro ci saluta con un gesto o una frase scelta personalmente che noi insegnanti replichiamo: c’è chi saluta con un passo di danza, chi con la Dab in stile Hip Hop americano e d’ispirazione calcistica, chi con un ballo di Fortnite, chi con un’elegante gesto alla “Queen Elisabeth”, chi con un inchino abbinato ad un Namaste, chi con una strizzatina dell’occhio al grido di “abbraccio”, chi con una finta stretta di mano al grido di Shampoo, chi con il nostro inno di inizio classe terza d’ispirazione Flinstones: Yabba Dabba Doo, sei in terza anche tu!
Ci prendiamo il giusto tempo, prima di cambiarci la mascherina, per dire: 𝐧𝐨𝐢 𝐜𝐢 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨, 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐪𝐮𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐞, 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐭𝐮𝐨 𝐦𝐨𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐭𝐮 𝐬𝐞𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞!
Nei primi giorni di scuola, com’è noto, di solito si fanno delle 𝐚𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐚𝐜𝐜𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚: anche in questo caso il Setting era fondamentale perché non si sarebbero potuti più fare i lavori di gruppo tanto graditi dai bambini.
Come fare?
Con le colleghe abbiamo pensato ad un’attività di arte da poter far svolgere singolarmente che però, in seguito, sarebbe potuta diventare una grande opera d’arte collettiva: un grande mandala-arcobaleno:“
𝑺𝒊𝒆𝒕𝒆 𝒗𝒐𝒊 𝒊 𝒑𝒆𝒛𝒛𝒊 𝒑𝒆𝒓𝒇𝒆𝒕𝒕𝒊 𝒅𝒊 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒍𝒐𝒓𝒂𝒕𝒊𝒔𝒔𝒊𝒎𝒐 𝒑𝒖𝒛𝒛𝒍𝒆. 𝑺𝒆 𝒂𝒏𝒄𝒉𝒆 𝒖𝒏𝒐 𝒔𝒐𝒍𝒐 𝒅𝒊 𝒗𝒐𝒊 𝒎𝒂𝒏𝒄𝒂𝒔𝒔𝒆 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒐 𝒄𝒂𝒑𝒐𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒐 𝒏𝒐𝒏 𝒔𝒂𝒓𝒆𝒃𝒃𝒆 𝒄𝒐𝒎𝒑𝒍𝒆𝒕𝒐.”
Siamo un team, una grande squadra e facciamo in modo di ricordarcelo.
(maestra Laura e maestra Valeria)
Infine arrivano loro, le nostre lezioni di inglese, quelle che ci piacciono tanto perché sono lezioni vissute, giocate, mimate, con gare tipo quiz con tanto di pulsanti, con parti recitate e dialogate...come fare? Qui ci è di grande aiuto la tecnologia, in particolare il digitale: grazie ai video già presenti in rete o grazie a quelli realizzati da noi stesse possiamo tentare di stimolare l’uso della lingua straniera e mantenere alto il loro livello d’interesse. La scorsa settimana abbiano proposto un’attività CLIL sull’autunno (Il termine CLIL è l’acronimo di Content and Language Integrated Learning. Si tratta di una metodologia che prevede l’insegnamento di contenuti in lingua straniera. Ciò favorisce sia l’acquisizione di contenuti disciplinari sia l’apprendimento della lingua straniera.): TEN REASONS TO FALL, dieci ragioni per amare l’autunno.
Ecco il nostro decalogo con l’applicazione del Total Physical Response: apprendimento che unisce il verbale al gesto fisico...il mimo che serve a focalizzare il contenuto:
1 WALKS: mimare la camminata
2 CRUNCHY LEAVES AND COLORFUL TREES
3 GOING THROUGH A FOGGY LANDSCAPE: camminare coprendosi gli occhi per mimare la nebbia (landscape: vocabolo già noto)
4 LARGE SCARVES AND COATS: mimare sciarpe e cappotti
5 COOL BREEZES: mimare brividi abbracciandosi
6 COMING INTO A WARM HOUSE: mimare ingresso in casa al calduccio
7 HOT CHOCOLATE OR CINNAMON TEA: gesto goloso e bere con mignolo alzato
8 READING A BOOK IN FRONT OF THE CHIMNEY: mimare lettura del libro (chimney: vocabolo gia noto)
9 CANDLES: vocabolo già noto
10 HALLOWEEN: vocabolo già noto ma fare disegno
Nel procedere con lo studio dei movimenti da abbinare al vocabolo, però, mancava un aggettivo, CRUNCHY, croccante: come fare in un autunno non ancora partito, quando le foglie croccanti non si possono ancora calpestare?
Come aiutare i bambini a ricordare un suono?
Ecco che ci vengono in aiuto i sacchetti vuoti delle patatine che, se stropicciati, fanno CRUNCH...insomma, anche se l’autunno rema contro, anche se dobbiamo stare distanziati, anche se non si possono creare momenti di vera esperienza laboratoriale, insegnanti e alunni, insieme, possono vivere esperienze significative di apprendimento e di relazione a scuola.
Setting da normativa anti-Covid, non ti temiamo perché...”𝐿𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑎𝑑 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑏𝑏𝑎 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜, 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑎𝑑 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑏𝑏𝑎 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑖𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎𝑟𝑒”.
(John Lubbock)
Foto e articolo di 2020 © Elena Calzighetti 13 ottobre 2020
LA SCUOLA RINASCERA' DALLE PROPRIE CENERI?
“𝐿’𝑎𝑟𝑎𝑏𝑎 𝐹𝑒𝑛𝑖𝑐𝑒 𝑠𝑖𝑚𝑏𝑜𝑙𝑒𝑔𝑔𝑖𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑙’𝑒𝑡𝑒𝑟𝑛𝑖𝑡𝑎̀ 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑖𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑚𝑎 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑙𝑒 𝑚𝑜𝑟𝑡𝑖 𝑒 𝑙𝑒 𝑟𝑖𝑛𝑎𝑠𝑐𝑖𝑡𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙’𝑢𝑜𝑚𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑖𝑒 𝑖𝑛 𝑣𝑖𝑡𝑎, 𝑑𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑐𝑜𝑠𝑖̀ 𝑢𝑛𝑎 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑎𝑙𝑙’𝑒𝑣𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑜.
𝐼𝑛𝑓𝑎𝑡𝑡𝑖, 𝑙’𝐴𝑟𝑎𝑏𝑎 𝐹𝑒𝑛𝑖𝑐𝑒 𝑟𝑖𝑛𝑎𝑠𝑐𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑒 𝑐𝑒𝑛𝑒𝑟𝑖, 𝑙𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑎𝑙𝑙’𝑒𝑠𝑝𝑙𝑜𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑛𝑔𝑜𝑛𝑜 𝑜 𝑙’𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎 𝑜 𝑙𝑎 𝐹𝑒𝑛𝑖𝑐𝑒 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑎.
𝑄𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑖𝑡𝑎̀ 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝐴𝑟𝑎𝑏𝑎 𝐹𝑒𝑛𝑖𝑐𝑒 𝑒̀ 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑢𝑛 𝑚𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑟𝑒 “𝑟𝑖𝑛𝑎𝑠𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑒 𝑐𝑒𝑛𝑒𝑟𝑖”, 𝑎𝑑 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑎𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑖𝑐𝑖𝑙𝑒 𝑒𝑑 𝑖𝑛𝑓𝑎𝑢𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎, 𝑐ℎ𝑒 𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒 𝑎𝑑 𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑙’𝑖𝑛𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑢𝑜
𝑠𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑔𝑖𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑟𝑖𝑛𝑎𝑠𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑓𝑜𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎.”
(𝑀𝑎𝑟𝑐𝑜 𝑇𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑎𝑛)
L’anno scolastico post Covid-19 sta per ripartire e gli interrogativi, le perplessità e le preoccupazioni sono molteplici ma, poiché gli insegnati non si scoraggiano...o non dovrebbero scoraggiarsi di fronte alle difficoltà perché la natura dell’educatore parte dall’impossibilità del fallimento...non si educa senza la speranza nel futuro dei nostri studenti..., non posso non vedere qualcosa di positivo in questa ripartenza.
Per la prima volta dal Decreto Moratti (17 aprile 2003), la scuola post Covid sta subendo una trasformazione, sta uscendo dallo “stallo alla messicana”, sta lasciando l’immobilismo. Vorrei spiegare in modo più approfondito.
Dal 2003 a oggi si sono succeduti 11 Ministri, ciascuno di loro, indipendentemente dallo schieramento politico, ha apportato modifiche sostanziali alla Scuola Primaria e alcune alla Scuola Secondaria di II° grado, non è mai stata riformata la Scuola Secondaria di I° grado (se non nel nome) e tutti, indistintamente hanno portato questi dati oggettivi:
1) Tagli al personale in ogni ordine di scuola
2) Riduzione o, in alcuni casi, completa sparizione delle ore di compresenza nella Scuola Primaria e all’Infanzia
3) Formazione delle cosiddette classi “pollaio”
4) Aumento rapporto docente di sostegno-alunni
5) Cambio/aumento di sigle (POF-PTOF, BES, RAV, PEI, PAI e chi più ne ha più ne metta)
6) Ritardi nelle assegnazioni dei docenti alle cattedre (alcune nomine si sono fatte a novembre!)
7) Tagli esorbitanti ai finanziamenti per il funzionamento delle scuole
8) Iper burocrazia: un docente mediamente trascorre un’ora al giorno del suo tempo lavorativo a occuparsi di tutto fuorché di didattica
9) Modifica del sistema di reclutamento dei docenti al punto tale che, in alcuni casi, non è possibile nominare un supplente per coprire le malattie dei docenti e le classi vengono, di prassi, divise
10) Mancata erogazione di fondi per la manutenzione
ordinaria/straordinaria agli enti, come i Comuni, che hanno la responsabilità degli edifici scolastici
A fronte di queste, ahimè, poco confortanti evidenze, a marzo 2020 le scuole hanno chiuso per un’emergenza sanitaria globale, gli insegnanti hanno dovuto ingegnarsi con la Didattica a Distanza (DaD)...chi più chi meno, chi con successo, chi senza...ma questo è un altro discorso...ma è
fuori dubbio che, in queste condizioni, una riflessione sulla Scuola si è stati costretti a farla.
Si è scoperto che la Scuola non è solo trasmissione di saperi ma anche e soprattutto relazione, abbiamo capito che ci sono mancati gli alunni, i colleghi, i compagni e le maestre, abbiamo capito quali sono le “falle”, le crepe delle nostre scuole, ci siamo messi seduti ad un tavolo a parlare con gli Amministratori, poi sono arrivati i fondi statali per l’emergenza e ora, finalmente, i lavori sono in corso; le scuole non solo vengono messe in sicurezza nel rispetto delle norme ma, dove i finanziamenti lo consentono, diventano più funzionali; per la prima volta si parla di arredare il giardino, di ridurre il numero di alunni per classe; gli insegnanti, dopo più di tredici anni, saranno nominati a partire dal mese di agosto e sicuramente prima della fine del mese di settembre; si discute sul non “buttare via” quelle competenze digitali sviluppate nella DaD...in sostanza, ci si siede e si parla di SCUOLA nella sua complessità: spazi, arredi, finanziamenti ma, soprattutto, si parla di didattica, di metodologia e di strategie educative.
Perché a noi insegnanti della Scuola Primaria, quello che davvero preoccupa è: dobbiamo trovare nuove strategie affinchè l’apprendimento sia stimolato e stimolante nonostante il banco singolo distanziato e l’abolizione dei lavori di gruppo; dobbiamo trovare nuovi modi per salutare
i bambini al mattino perché l’abbraccio non è più onsentito; dobbiamo mantenere vive quelle competenze digitali nate nella DaD perché in aula informatica ci potremo andare con mezza classe ma non abbiamo le compresenze; dobbiamo organizzare un ripasso nel modo più divertente ma efficace possibile e allora...VIA: si ritorna a cercare risorse, applicazioni, canzoni e filastrocche perché ci siano modi differenti per stimolare le INTELLIGENZE dei bambini (Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner).
La voglia di ricominciare è tanta, nonostante le disinfezioni, l’areazione delle aule, i richiami ad indossare correttamente la mascherina perché se non credessi a questo “fermo” obbligato come ad un’opportunità, probabilmente dovrei cambiare lavoro; perché se non avessi fiducia nel senso di responsabilità dei miei alunni, probabilmente dovrei cambiare lavoro; perché se non credessi all’investimento emotivo insito nel mio ruolo, probabilmente dovrei cambiare lavoro!
Perché se non sperassi nel futuro, sicuramente dovrei cambiare lavoro!
Fiducia, Rispetto, condivisione collaborazione, risorse e professionalità: solo così daremo alla scuola post Covid la possibilità di essere una Scuola nuova.
Onestamente non sono certa che la SCUOLA RINASCERA’ dalle proprie ceneri, come l’Araba Fenice ma, in quanto persona che crede nella speranza nel futuro, VOGLIO CREDERCI.
“𝐶ℎ𝑒 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 𝑝𝑎𝑡𝑒𝑟𝑛𝑖𝑡𝑎̀ 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑏𝑒𝑟𝑖, 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑎 𝑐𝑖𝑎𝑠𝑐𝑢𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑟𝑎𝑚𝑖 𝑢𝑛 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑙𝑎 𝑙𝑢𝑐𝑒!”
(𝑂𝑙𝑖𝑣𝑎̀𝑛)
Articolo e foto di 2020 © Elena Calzighetti - 15 settembre 2020
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𝐋𝐀 𝐑𝐈𝐂𝐄𝐓𝐓𝐀 𝐃𝐄𝐋 𝐕𝐈𝐀𝐆𝐆𝐈𝐎 𝐀 𝐒𝐂𝐔𝐎𝐋𝐀
“[...] 𝒅𝒐𝒗𝒆𝒗𝒂𝒎𝒐 𝒂𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂 𝒂𝒏𝒅𝒂𝒓𝒆 𝒍𝒐𝒏𝒕𝒂𝒏𝒐.
𝑴𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒎𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂𝒗𝒂, 𝒍𝒂 𝒔𝒕𝒓𝒂𝒅𝒂 𝒆̀ 𝒗𝒊𝒕𝒂”
(𝐉. 𝐊𝐞𝐫𝐨𝐮𝐚𝐜 - 𝐎𝐧 𝐭𝐡𝐞 𝐫𝐨𝐚𝐝)
Ok, si parte!
Io adoro partire!
Amo partire per un nuovo viaggio...quello sempre, anche se fosse la frazione della frazione di un paese che già conosco, ma amo partire in ogni situazione: sento il fremito della scoperta ogni volta che parto per qualsiasi nuova avventura e, questa del Blog, è una di quelle.
Come insegnante, io parto per un viaggio tutti i giorni in cui varco la soglia della mia scuola o anche quando ho varcato le soglie delle case dei miei alunni, durante la sospensione delle attività didattiche a causa del Covid-19.
Ma cos’è il Viaggio: cosa significa viaggiare? Cosa ci serve per viaggiare? Cosa portiamo nei nostri viaggi? Chi portiamo con noi?
Quando si parte per un qualsiasi viaggio, si pianifica, si organizza, ci si documenta; il viaggio richiede 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐞𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 e scaturisce dal 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨 per la 𝐬𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐚 ma anche, nasce dall’𝐚𝐛𝐛𝐚𝐧𝐝𝐨𝐧𝐨: non si viaggia se non si parte e se non si è disposti a lasciare a casa ciò che eravamo.
Viaggiare, quindi, ci fa convivere con il nostro PASSATO, con il PRESENTE e ci proietta nel FUTURO.
Il viaggio è scoperta, viaggiare è emozione, è uscire dai propri schemi e dalla propria zona comfort per entrare “a casa” di chi è ALTRO da me, per avvicinarsi agli Altri.
Della metafora del viaggio, abbiamo ora tutti gli ingredienti.
Ecco la ricetta:
una buona dose di audacia per affrontare l’ABBANDONO e salutare il PASSATO;
tanta voglia di fare SCOPERTE per affrontare il nostro PRESENTE;
molti strumenti per raggiungere la COMPETENZA nel correre verso il FUTURO;
grandi capacità di SOCIALITÀ ed EMPATIA per affrontare i RAPPORTI UMANI.
La Scuola è, di per sé, metafora del Viaggio!
Caspita...tanto da affrontare all’inizio del percorso scolastico per un bambino di sei anni!
Vero: sembra tanto ma, in realtà, è quello che succede ogni singolo giorno della vita, scolastica e non, di ciascuno di noi.
Mi preparo, esco di casa, salgo in auto (per i più fortunati, faccio qualche passo a piedi, se la mia scuola è sotto casa) con tutto il carico di ciò che mi serve durante la giornata scolastica: libri, quaderni, astucci, colori e, per noi maestri: compiti corretti, materiali da proporre, l’immancabile chiavetta per la macchinetta del caffè e un abbondante scorta di acqua o di tisana per i momenti di sconforto...sì, ci sono anche quelli. Abbiamo tutto ciò che serve e “abbandoniamo” il nostro passato, la nostra zona confort, per metterci in gioco ancora una volta.
Entriamo a scuola, chi con un sorriso, chi con ancora gli “occhi da sonno”, chi perdente con la lotta contro il cuscino e chi già carico di energie; tutti pronti, ognuno a modo proprio, per affrontare il presente di una nuova giornata. E qui, proprio qui, in questo breve istante di arrivo/accoglienza, ognuno di noi si gioca il mood della giornata, si esibisce il proprio biglietto di viaggio: ogni alunno, magari inconsapevolmente, affronta il proprio presente scolastico partendo da questo piccolo ma grande momento; noi insegnanti, consapevolmente invece, sappiamo che qui ci giochiamo tutte le carte, qui non possiamo bluffare, qui siamo noi che abbiamo la capacità di dare la svolta a chi, dei nostri alunni, ha perso la lotta contro il cuscino, a coloro i quali avrebbero voluto stare a casa con la mamma perché era in ferie, a chi serve una carezza per iniziare con il giusto sprint, a chi basta un sorriso o a chi è sufficiente una piccola, insignificante ma importantissima domanda
“𝐶𝑜𝑚’𝑒̀ 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑡𝑎 𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑖𝑒𝑟𝑖?”.
Io ci sono, ti riconosco e ti conosco e, proprio per questo, ti accolgo. Questo è il Viaggio con gli Altri e per l’Altro, questo è il bagaglio UMANO della Scuola: empatia e stimolo, accettazione e riconoscimento.
Il nostro presente parte dalle emozioni e dal rapporto con chi ci circonda: non esiste apprendimento senza emotività.
Ogni alunno apprende, inevitabilmente, attraverso il filtro delle proprie emozioni e dal confronto con l’Altro. Nel viaggio dell’apprendere, come nei viaggi della vita, inciampiamo, cadiamo, ci scontriamo ed affrontiamo imprevisti ma ci rialziamo, appianiamo le divergenze, troviamo nuovi strumenti per superare gli ostacoli e ripartiamo per nuove avventure.
Da qui, dalla consapevolezza che possiamo cadere ma che sappiamo anche rialzarci, dalla certezza che questo viaggio non lo percorriamo da soli, dalla capacità di trovare nuove soluzioni ai problemi e dal fatto che i nostri compagni di viaggio, coetanei ed adulti, ci affiancano, noi tutti poniamo le basi per affrontare il nostro futuro.
Nella nostra ricetta per compiere il grande viaggio dell’apprendere, ma soprattutto, per affrontare il viaggio della vita, manca l’immancabile q.b...il quanto basta che, potrà sembrare insignificante, ma che è il sale di ogni ricetta che si rispetti: la 𝐂𝐔𝐑𝐈𝐎𝐒𝐈𝐓𝐀̀!
Non si parte se non si è curiosi e, quando la curiosità è “in letargo”, spetta a noi insegnanti trovare quel q.b. che aiuta a percorrere la strada...ma questo è un altro capitolo del nostro Viaggio!
𝑳𝒂 𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒆̀ 𝒖𝒏 𝒗𝒂𝒔𝒐 𝒅𝒂 𝒓𝒊𝒆𝒎𝒑𝒊𝒓𝒆,
𝒎𝒂 𝒖𝒏 𝒇𝒖𝒐𝒄𝒐 𝒅𝒂 𝒂𝒄𝒄𝒆𝒏𝒅𝒆𝒓𝒆”
(𝐏𝐥𝐮𝐭𝐚𝐫𝐜𝐨)
Articolo di 2020 © Elena Calzighetti - 4 agosto 2020
Nella foto: Elena, la nostra esperta 6-11 anni
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