SmaniaTales by Gianni
I mille pensieri e le storie dell'anima
rubrica a cura di Gianni Caminiti
NON HO BISOGNO DI PAROLE,
PARLAMI CON LA MUSICA
Ascoltare.
Che bella parola.
In un mondo dove tutti parlano, ascoltare è un arte.
“Sono tutto orecchi”. E chi lo dice più?
Siamo sempre più “bocca”.
Anche nella musica non trovate?
Mi spiego.
Apro un video di repertorio.
Sono gli anni 70, parco Lambro di Milano. Migliaia di capelloni, figli dei fiori, assembrati per ascoltare un concerto.
Provate a immaginarveli. Li visualizzate con le canne in mano e a torso nudo?
Sì, anche. Ma pensateli mentre in silenzio ascoltano.
La prima cosa che mi colpisce infatti è l'assenza di rumore del pubblico.
Ok, mi dico “avranno usato la traccia dal mixer”.
Poi invece una magia.
Il pubblico viene inquadrato. Sono seduti, a gambe incrociate, ascoltano in silenzio. Ascoltano davvero.
Ascoltano silenziosi per minuti. Lunghissimi minuti.
I brani in quegli anni potevano durare anche 20 minuti.
Lunghissime Suites, brani con molti temi e cambi ritmici che, come la vita, hanno ora il sapore della corsa sfrenata, ora il ritmo lento del riposo.
Minuti e minuti in ascolto. Senza fiatare.
Dopo quegli anni, piano piano, si è arrivati a “NON OLTRE I 4 MINUTI!”.
Chi si può permettere di più è un artista affermato ma, si badi bene, in un brano o due.
L'album dev'essere veloce. Anzi ormai la “traccia”.
Ecco che le canzoni diventano “più uguali” del solito.
Intendiamoci, la musica, come la letteratura ha sempre una struttura. Delle costanti che si studiano, analizzano ma che, proprio perché strutture archetipiche allo scrittore-compositore vengono spontanee. Ma struttura c'è. Più o meno complessa però.
Le canzoni oggi hanno una struttura più semplice.
Questa la più ricorrente.
Strofa, strofa, ritornello, strofa, ritornello, special, ritornello, ritornello (a volte lo special nemmeno).
“Il tutto in 3 massimo 4 minuti.
Quindi per favore quando scrivete cercate di essere concisi.
Niente temi lunghi”.
Tutta questa velocità mi ricorda alcuni guru dei social che dicono:
“I post più efficaci sono tra i 150 e i 180 caratteri.
Ma mi raccomando che abbiano forti contenuti. I contenuti sono la cosa trainante”.
ComeComeCome? 150/180 caratteri?
Siete sicuramente dei mostri di bravura voi guru del web!
Io, che i contenuti li amo tanto, ve lo giuro, quei 150 caratteri mi bastano sì e no per il titolo.
La mia ultima band si chiamava ThinkPop (se cercate qualche video in rete lo trovate).
Portavamo in giro uno spettacolo di cover sulla storia del rock progressive con quasi tutti i gruppi storici dell'epoca. Il Rock Progressivo aveva nelle lunghe suites il proprio imperativo.
La band ovviamente man mano che gli anni passavano ha avuto meno date. Pezzi troppo lunghi.
E tanto casino in sala.
“La gente va ad un concerto per parlare con gli amici” mi ha detto un gestore di un locale.
Sì anche io. Prima e dopo però. Durante il concerto ascolto.
Come al cinema. Durante il film guardo il film. Non parlo col vicino e soprattutto non chatto.
A noi di cineSmania la musica piace farla oltre che ascoltarla e sapete che, soddisfazione enorme, personale e del gruppo, la colonna sonora del film “Ombra e il Poeta” ha vinto come Best Soundtrack al Flicks Film Festival di Londra, la patria del genere rock e del cinema rock.
Nella colonna sonora ci sono anche brani brevi ma i due climax, i momenti più importanti e tensivi del film, si raggiungono proprio su due Suites così costruite. Lunghe e che comunicano emozioni tra loro distanti.
Amiamo la musica.
Perchè in un mondo diviso da centinaia di lingue ci si può parlare attraverso la musica.
La musica comunica emozioni.
Ti guardi negli occhi, che ne so, con una Lituana e, anche se non capite nemmeno una parola dell'altra persona, sai che la musica in qualche modo vi ha dato le stesse emozioni.
E se non sono le stesse chi se ne frega. Ci si guarda negli occhi, con un sorriso o una lacrima, e , vabbè, qualcosa abbiamo provato.
Ma succede anche se non ti guardi negli occhi.
La musica l'ascolti. E se chiudi gli occhi hai la possibiità di ascoltare esattamente come ascolta un cieco.
Si va oltre le immagini. Si hanno immagini e colori sonori. Una libidine sensoriale.
E noi di cineSmania abbiamo trovato la Penna giusta per raccontarvi tutto questo.
Roberto Gaudenzi sarà il curatore di 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐑𝐨𝐜𝐤, la nostra nuova rubrica che parlerà di Rock, Rock sinfonico, Rock Prog, Opere Rock. Insomma tutto ciò che è Rock!
Roberto la musica la vive nella carne.
E' conduttore, con gli amici Marco Mascolo e Fabrizio Foglia della trasmissione Rock Academy - Radio Panda.
Roberto è la persona giusta perchè ha tutti i vizi capitali dei cineSmaniaci.
E' un conduttore Radio e ascolta musica da mattina a sera, un accanito lettore “onnivoro”, dai saggi storici ai romanzi, un fotografo dai tempi della camera oscura e un cinefilo convinto.
Del cinema dice “lo amo perchè è un’arte che sintetizza tutti i miei interessi: narrazione, fotografia e musica”.
Proprio la persona giusta non trovate?
Di venerdì Roberto recensirà album della storia del Rock guidandoci all'analisi dei brani, sia della musica e dei testi, inserendoli dove possibile nel loro contesto storico, sociale, economico. E poi un sacco di curiosità.
E nel weekend “lancerà”, da perfetto DJ Rock, alcune delle canzoni di cui ha scritto.
Un doppio appuntamento cui non potrete mancare.
Io, come è stato per la rubrica 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐋𝐢𝐛𝐫𝐚𝐫𝐲 di Francesca Numerati, utilizzerò la discografia consigliata da Roberto per costruirmi una “discoteca” personale molto curata.
Anche voi potrete fare lo stesso. Leggendo, ascoltando alcuni brani di cui forniremo link in rete e poi, lo speriamo vivamente, acquistando i dischi in vinile o i CD.
Una collezione di album imperdibili da affincare ai CD di cineSmania.
Appuntamento a venerdì per la prima recensione di Roberto che, come potete vedere dalla foto, è già immerso nel suo lavoro.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 17 giugno 2020
Nella foto: autoritratto di ©Roberto Gaudenzi
HAI REALIZZATO
IL PIU' IMPORTANTE
PROGETTO DEI TUOI SOGNI?
“In morte suus aestimatum Boccadoro”
(Il ritrovato memoriale di Narciso, scritto di suo pugno, per l'amico Boccadoro)
Mi è oltremodo gravoso proferire questo breve epitaffio in questo giorno di commiato.
Ma è anche lieve a cagione della nostra profonda amicizia.
Il mio allievo e poi amico Boccadoro, quando gli predissi che la sua vita sarebbe stata da artista e non da religioso, iniziò la sua vita da errabonda.
Fu infatti un artista eccezionale, purtuttavia perennamente insoddisfatto.
Girò il mondo in lungo e largo e del mondo sensibile conobbe bellezze ed orrori.
Entrambe esperienze a me precluse, me consenziente, per via della mia scelta monastica.
Conobbe egli molte donne, congiungendosi loro anche carnalmente.
Molte le amò davvero sia pur spesso perdendo l'ispirazione nei loro confronti alle prime luci dell'alba.
Non amò in vita sua che una donna in fondo.
Fu inquieto l'amico mio.
Fu natura selvaggia.
Fu cavallo indomito che corre ai margini di un bosco.
Lui fu foco.
Io fui quieto e di natura mite.
Fui spirito razionale.
Fui fedele cane domestico accovacciato accanto all'altare del Signore.
Lui fu foco. Io fui braciere.
Più volte, assorto nelle mie meditazioni vesperine, pensai di lui nelle lunghe stagioni in cui egli era lontano.
Mi chiesi dove si sarebbe spinto alla ricerca di quella figura che lo turbava e che necessitava di possedere e plasmare con le sue sapienti mani.
Sono convinto che se ne avesse avuta anche per un solo istante una netta visione e in quel momento davanti a sé fosse stato un blocco di marmo egli, anche se non avesse avuto con sé punteruoli, scalpelli e martello, a mani nude, coi pugni, avrebbe estratto quella figura intrappolata nella fredda roccia. Tanto gli urgeva.
Io ero certo che prima o poi avrebbe creato quella figura che lo ossessionava.
Sarebbe stata la sua più importante scultura.
Più importante persino dell'apostolo Giovanni, che tanto lo rese noto e che ritrasse a mia effige.
Adulatore in egual misura di uomini di fede e femmine lussuriose.
I
nsaziabile di vita.
Bello ed effimero. Come il fiore che stamane è seccato, meraviglioso, nel mio orto officinale.
Ma non accadde mai.
La figura restò improgionata da qualche parte, nel legno o nel marmo, non lo saprò mai.
Eppure egli si addormentò nel suo ultimo giorno, con mio massimo stupore, sereno.
Mirabile dictu*!
Serenamente si abbandonò all'eterna notte pur non avendo mai egli ritratto quella musa che lo tormentò sublimemente fino alla fine. Colei che fu motore della sua arte, inizio e fine.
E io tuttora mi attardo a comprenderne di tale serenità la cagione.
Del resto fosse semplice per me comprendere in fondo anche solo la mia.
Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris**
* Cosa mirabile a dirsi
** Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 21 maggio 2020
Nella foto: un fotogramma dal set di "Ombra e il Poeta"
LA GABBIANELLA E IL GATTO
Omaggio a Luis Sepulveda
22 anni fa, a Natale 1998, usciva nei cinema italiani “La gabbianella e il Gatto”, un bellissimo film d'animazione tratto dal romanzo dello scrittore cileno Luis Sepulveda “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, del 1996.
Il film fu una produzione italiana (Cecchi Gori) con la regia di Enzo D'Alò.
Fu distribuito con ottimo successo in molti paesi e in Italia incassò una cifra davvero consistente: 12 miliardi di lire.
Fu un successo cinematografico e il record di incassi come film Italiano d'animazione.
Un successo enorme come lo fu il libro di Sepulveda.
Ne parliamo oggi, nel triste giorno della sua scomparsa.
Vogliamo ricordare lo scrittore prima di tutto con qualcosa di cinematografico perchè qualcuno della nostra “famiglia” cineSmania a quel film lavoró tantissimo e conserva del lavoro di Sepulveda un ricordo vivo: Giorgio Vita Levi, che (con lo studio di Milano, FonoVideo Audio-Post e Edoardo Martin) è stato anche il “regista audio” del nostro film, l’opera Rock "Ombra e il Poeta".
Il suono di un film d'animazione va completamente costruito in studio. Giorgio ha mixato “La gabbianella e il gatto” e la FonoVideo Audio-Post ha curato totalmente la creazione del suono, incluso ovviamente il mix delle voci, una delle quali, quella del Poeta, era dello stesso Sepulveda, doppiato sorprendentemente in perfetto Italiano.
Domani Francesca Numerati, come omaggio editoriale a Sepulveda, recensirà una sua opera in una uscita “extra” della sua rubrica SmaniaLibrary, fatta col cuore di lettrice affranta, facendovi certamente venir voglia di leggere qualcosa in più di lui.
Oggi, invece, vi invitiamo a guardare (o riguardare) “La gabbianella e il gatto”.
Io stasera riaprirò il cofanetto autografato da Giorgio e lo rivedrò con mio figlio.
Articolo e Foto di ©Gianni Caminiti - 16 aprile 2020
VIAGGIARE
NELLO SPAZIO E NEL TEMPO
LA LETTURA
COME "ANTI VIRUS"
La lettura e la scrittura sono naturali antidoti per un numero enorme di problemi e, se questo vale sempre, vale ancor più oggi, nella solitudine della reclusione forzata di questo periodo di quarantena per la pandemia del Covid19.
Leggere, come anche Scrivere, può essere di grande aiuto.
Inauguriamo, lunedì prossimo il primo articolo, una nuova rubrica che settimanalmente ci vedrà impegnati sulla pagina FB di cineSmania e contemporaneamente su una sezione del sito www.cinesmania.it, nella recensione di libri e consigli di letture.
La rubrica si chiamerà SmaniaLibrary.
La lettura.
Che meravigliosa possibilità offre.
Come nel film Interstellar di Christopher Nolan, che vi consigliamo caldamente di vedere, significa viaggiare nello SPAZIO E NEL TEMPO.
Nel Tempo.
Leggere è IMMORTALITÀ.
Come perfettamente espresso dallo scomparso Umberto Eco.
“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria.
Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro.”
Immortalità all'indietro. Per 5000 anni.
Fantastico no?
Ma con la lettura andiamo oltre.
Si viaggia anche in avanti.
Pensiamo alla possibilità che ci viene data di proiettarci in avanti e di avere visioni del futuro, un futuro possibile, tramite la lettura di autori, per esempio, di fantascienza.
Nello SPAZIO.
Leggere è UBIQUITÀ.
Leggere è come avere a disposizione il teletrasporto.
Mentre leggi sei ovunque. Immerso nella storia che stai leggendo sei ora su una montagna, ora in fondo all'oceano, ora addirittura in galassie diverse. Senza spendere un euro e a impatto ambientale zero.
Greta Thumberg sarebbe contenta di sapere che hai scelto questo modo di viaggiare.
Poi, volendo approfondire, ci sono anche le dimensioni DENTRO E FUORI, tipiche della scrittura.
Ma di questo parleremo, se vorrete, più avanti.
Francesca Numerati, laureata in lingue e letterature straniere, docente di francese e lettrice accanita, sarà la nostra “libraia”, la consulente perfetta per letture sempre nuove, varie ed entusiasmanti.
Sarà contemporaneamente Beatrice e Virgilio della (Divina) Comedia. Una guida esperta, competente e divertente per esplorare ora la leggerezza del paradiso ora il tormento e il dolore del purgatorio e dell'inferno.
Ogni settimana un libro.
Letto e recensito per voi da Francesca per permettervi di decidere se leggerlo.
Per aiutarvi a costruire una biblioteca personale.
Libri imperdibili da affiancare sulla mensola a quelli editi dalla nostra casa editrice indipendente, cineSmania Edizioni.
A lunedì, per il primo appuntamento con Francesca che, come potete vedere dalla foto, sta già trasportando sul suo tavolo da lavoro un bel po' di libri da recensire.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 4 aprile 2020
Foto di ©Francesca Numerati
IL DUBBIO E LA CERTEZZA.
IL BENE E IL MALE.
Marco Facoetti in questi giorni ha stimolato i lettori di questa pagina con due segni. Il Punto di domanda ed il punto esclamativo.
Sono rimasto molto colpito dalle suggestioni che ha creato e questo mi ha riportato alla memoria uno spezzone di un film che forse molti non hanno visto.
Così Parlò Bellavista con un Luciano De Crescenzo in grande forma.
Luciano era un uomo che, pur con grande ironia, non ha mai lesinato grandi insegnamenti.
Ironia e cultura. Che gran bel binomio.
Ci lasciò pochi giorni dopo la scomparsa di un altro grande italiano, Camilleri, anch'egli maestro di ironia e letterato fine.
Entrambi dubitavano della forza dell'esclamativo.
Entrambi avevano più dubbi che certezze.
Il Dubbio è delle persone colte e aperte. Il Bene.
La Certezza è delle persone ignoranti e ottuse. il Male.
E' un invito ad essere come Socrate, che sapeva bene di non sapere. Almeno non abbastanza.
Un film che in quel punto, attualissimo, è da vedere e rivedere.
Da mostrare ai più giovani perchè coltivino la cultura del dubbio e il dubbio nella cultura.
Perchè non diventino certi urlatori odierni pieni di tronfie pseudoverità che, invece, nascondono bieche intenzioni manipolatorie.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 14 marzo 2020
foto un fotogramma del film Così Parlò Bellavista
LA PAURA DELL'ALTRO
Ho iniziato ad avere paura.
Qualche tempo fa.
Non ho un giorno preciso.
Non mi ricordo quando iniziò.
Dapprima era una piccola sensazione, poco sotto lo stomaco.
Un disagio sopportabile.
Pensavo mi capitasse perché quando si esce alla fin fine si beve qualcosa.
O si mangia, peggio.
La pizza soprattutto.
Tutti escono a mangiare la pizza, per stare insieme. E' un rito.
Ma a me che la pizza piaceva, e piace ancora moltissimo, quegli inviti hanno iniziato a pesare.
Ho iniziato col raggiungerli dopo.
“Vengo più tardi e mi bevo qualcosa”.
Non era la pizza.
L'ho scoperto in breve.
Ho iniziato a raggiungerli dopo e a bere solo una bibita, poi una tisana.
Infine acqua. Liscia.
Niente da fare, quella sensazione allo stomaco ormai era un crampo.
Senza scampo.
Quasi ogni volta.
Se ho fatto controlli?
Si. Tutti.
Mi hanno rovesciata come un calzino. Soprattutto da quando ho iniziato a vomitare.
Anche io ero certa di avere qualcosa. E a cercare i sintomi in rete mi ero proprio presa un colpo.
Ma nulla. Nulla di nulla.
Il mio stomaco, l'intestino.
Ogni tratto delle mie viscere è a posto.
Un sospiro di sollievo, all'inizio.
Poi ho iniziato a pensare che sarebbe stato meglio mi avessero trovato qualcosa.
Me l'avrebbero tolto.
Una sera quel crampo si è spostato più in alto.
Il Cuore! Ho urlato.
Volevo guidare ma non avrei potuto.
Ho chiamato l'ambulanza.
All'ospedale non hanno trovato nulla.
Nessun segno che il cuore funzioni male. Non un'extrasistole. Nulla.
E' la testa. Mi ha detto il medico.
E' nella mia testa.
Non è semplice accettare che ho bisogno di aiuto.
Prima o poi lo cercherò davvero aiuto.
Sarebbe più facile però se non dovessi uscire.
Infatti ho iniziato a non uscire più e a rifiutare sistematicamente gli inviti.
Gli altri hanno iniziato a farmi paura.
Rifiutare gli inviti.
Con delle scuse all'inizio.
Sempre più flebili.
Perché in breve non si è fatto sentire più nessuno.
Sentire... se poi il messaggiarsi sui social sia davvero sentirsi poi.
E' che là sopra sono tutti perfetti. Io non sono affatto così.
E vorrei tanto esserlo.
Perfetta.
Per qualcuno almeno.
Sono su un'isola disabitata.
Sono sola.
Posso solo lanciare un messaggio in una bottiglia.
Questo.
Soffro di ansia sociale. Mi ha detto un'altra.
Sì, ho scoperto che c'è qualcuna che è come me.
Ho letto il suo messaggio in una bottiglia.
Più o meno suonava come il mio.
Non so se la vedrò mai.
Abita lontano. E nessuna delle due ormai esce più.
Soffriamo, soffro di ansia sociale.
In realtà soffro e basta.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 28 febbraio 2020
foto di ©Chiara Resenterra
editing della foto Chiara Resenterra
L'INVERNO NELL'ANIMA
Ogni anno il freddo dell'inverno lo sento di più.
Eppure le statistiche dicono che l'inverno è sempre più mite, anno dopo anno.
Stamattina la mia auto non partiva, il gasolio per il freddo si è paraffinato.
Ecco, raccontaglielo a lei che fa meno freddo.
Sono rientrato in casa ad aspettare che la temperatura salisse un poco.
Rientrando ho guardato in giardino.
La salvia è morta nel vaso. Non ha retto al gelo invernale.
Lei non conosce la statistica. Il gelo se l'è presa.
Ho acceso la radio per sentire le notizie mentre mi bevevo un caffè bollente.
Un senzatetto.
Stecchito davanti ad un hotel 5 stelle.
Ha tentato di scaldarsi con del vino. Invece è morto di freddo.
Non sapeva che il vino ti fa sentire Sì il caldo ma è solo perchè l'ultimo barlume dell'estate ti sta uscendo attraverso la pelle lasciando entrare una volta di troppo l'inverno.
E il suo sangue si è paraffinato, come il gasolio della mia auto. Ha iniziato a scorrere più lentamente.
Si è fermato. Come l'acqua nella roggia di fronte a casa mia.
E' andato via. Davanti ad un hotel da 500€ a notte. Lui che era sdraiato su un cartone sotto un'unica coperta.
Aveva molte più coperte ieri. E un sacco a pelo. Ma un uomo, un politico, gliele ha buttate nel cassonetto.
Lui col suo brick di vino da 1€, l'unica sua arma spuntata contro l'inverno.
Un inverno mite.
Dopo un'ora sono finalmente riuscito a far partire l'auto. A momenti mi si scaricava la batteria.
Il parabrezza è così sporco che non vedo quasi fuori.
Schiaccio la pompetta.
Nulla. L'acqua nel serbatoio è congelata. Così come le cannette.
Ecco cosa devo fare. Mi fermerò a comprare dell'antigelo.
Mi fermo al supermercato a poca distanza da casa.
Sto entrando. Mi ferma un uomo.
Ha fame. Non gli do mai soldi. Gli porterò come tutte le volte fuori del cibo.
Lo sa già, mi conosce. Mi saluta col suo solito “Ciao capo”.
Devo dirgli come mi chiamo un giorno di questi. Capo non è nemmeno il mio cognome.
Vado alla cassa col mio antigelo e un sacchetto con una focaccia.
Esco e non trovo quell'uomo. Poi lo vedo che si allontana velocemente.
Una signora ha chiamato la polizia locale.
“Non se ne può più di questi accattoni, ad ogni angolo della strada. E pensare che il Sindaco aveva promesso che avrebbe ripulito le strade.”
La mia focaccia resta mia per oggi. E la sua pancia resta vuota.
Sono arrivato a lavoro.
Una casa di riposo.
Due ospiti sono nell'atrio. Sono vicini e silenziosi. Non sanno più cosa dirsi.
Entro nel mio ufficio.
Alla porta c'è scritto Direttore.
Non Capo. Semplicemente Direttore.
Davanti alla mia scrivania c'è un anziano. E' venuto già altre volte da me.
Sempre con la stessa richiesta.
“Cosa c'è che non va? Ha ancora freddo?”
“Si, tanto”
“Ma ho fatto alzare la temperatura ieri di un altro grado.”
-Che poi non lo sa che questo inverno è mite?-
“Ho ancora freddo.”
Ha una lacrima congelata al lato dell'occho destro. Anche quella lacrima non è bene informata su questo inverno evidentemente.
Ma forse c'è altro.
“E' venuto a trovarla suo figlio questa settimana?”
“È più di un mese che non viene nessuno.”
Gli prendo le mani. Le ha freddissime effettivamente.
“Le va una focaccia?”
Mi fa un sorriso appena accennato. Prende il sacchetto ed esce.
Maledetto gasolio.
Maledetta salvia.
Maledetto vino.
Maledetta focaccia.
Maledetta lacrima.
Anche quella al lato del mio occhio. Ignorante congelata.
Ogni anno il freddo dell'inverno lo sento di più.
Da quando L'inverno mi è entrato nell'anima.
Articolo e foto di ©Gianni Caminiti - 13 gennaio 2020
Editing della foto Chiara Resenterra
SEI MAI STATO SULLA LUNA?
Intervista (im)possibile a Neil Armstrong.
Accendo il registratore.
Sei pronto?
Dai, presentati al pubblico.
Mi chiamo Neil Armstrong, e sono il primo dei 12 uomini che camminarono sul suolo lunare.
Era il 21 luglio del 1969.
Chi da bambino non ha sognato di andare sulla luna?
Ci hai detto al telefono che oggi avresti raccontato qualcosa di nuovo e di diverso dalle centinaia di interviste che hai già fatto.
Sarà uno scoop?
Si lo sarà, almeno lo credo.
Bene, allora raccontaci.
Di cosa vuoi parlarci?
Voglio raccontarvi del cosa succede dopo.
Quando sei tornato a casa?
No.
Il dopo inizia prima, molto prima.
Apollo 11 sta per staccarsi da terra.
Io e i miei due compagni di viaggio, tremiamo ma non solo per la paura.
Il razzo potentissimo fa vibrare tutto. Sembra che tutto debba scoppiare da un momento all'altro.
Per un momento passa per la testa, ad ognuno di noi, che dovremmo essere a casa, a fare i padri, a leggere il giornale sul divano in attesa di vedere in collegamento internazionale altre persone che rischiano la pelle per un sogno.
Poi non c'è stato più tempo per pensare e quel sogno è tornato impellente. L'adrenalina fa il suo lavoro e la voglia di staccarsi da terra si fa di nuovo forte.
Sono trascorsi interminabili 4 giorni di volo.
4 giorni di domande che si affollano nella mente.
E se qualcosa va storto?
E se ci schiantiamo?
Senza più adrenalina in circolo ritorna la paura e con essa di nuovo la voglia di essere su quel divano, a casa, al sicuro.
Poi la discesa sulla luna.
Un altro tremendo rischio.
L'adrenalina pompa forte.
Si sta per compiere quel sogno.
Siamo allunati.
Ora fremo dal desiderio di congiungermi a lei.
Sono stato scelto per essere il primo a scendere sulla luna.
6 interminabili ore sul suolo lunare prima che io abbia la possibilità di scendere e poggiare il piede sulla Luna.
Quella luna che sognavo da bambino, che guardavo sognante col naso all'insù, è ora sotto i miei piedi.
Non vi posso descrivere le emozioni. Sono troppo intense.
Due ore e mezza a saltellare e a raccogliere rocce, poi l'inizio del rientro.
Ora ho voglia di casa, di mogli e figli da abbracciare ma prima di questi, folle oceaniche di ex bambini che vogliono abbracciare me e con me il desiderio che avevano da bambini.
Era tutta la vita che lo desideravo e i miliardi di bambini che vivevano in me hanno realizzato il loro sogno.
Meraviglioso vero?
Si, lo è stato.
Ma hai detto che avresti raccontato del dopo.
Cosa intendevi?
Sì, è di questo che voglio parlare.
Quando tornai a casa, dopo molti giorni a dire il vero, quarantena, visite mediche, relazioni interminabili, colloqui estenuanti con supervisori, rientrai davvero a casa.
Mi sedetti sul mio divano e abbracciai forte i miei figli.
Il più piccolo, Mark, di 6 anni, mi portò per mano fuori e mi indicò la luna.
“Papà eri lassù?”
“Si”
“C'era Karen*?”.
Stetti per un po' in silenzio a quella ingenua domanda di Mark.
“No, non c'era Karen ma c'erano rocce, polvere e silenzio.
La terra, azzurra, splendeva per metà.
Era bellissima.”
“Mi vedevi papà?”
“No, sei piccolino”
“Io Sì, ti vedevo”
“Davvero?”
“Sì in TV. Eri grande così!”
“Vuoi andarci anche tu?”
“No, papà”
“Perchè?”
“Io voglio andare su Marte”
Lo presi in braccio e lo portai a letto.
Si addormentò quasi subito.
Tornai in giardino, sorridevo ancora per le parole di Mark.
Mi sedetti e guardai in su come non facevo da anni.
La luna la vedevo ormai sempre su schermi e monitor.
Tutto preso dal preparare la missione non mi era più capitato di guardare la luna dal giardino di casa mia.
Come chiunque.
Divenni tristissimo.
Perchè Neil?
Col naso all'insù ricordai che quando avevo l'età di Mark dissi alla mamma:
“Voglio andare sulla Luna”.
Lei ridacchiò un po', come avevo appena fatto io con Mark, e mi portò a letto.
Di colpo, quella notte nel mio giardino realizzai che non ci sarei mai più andato sulla Luna.
One shot.
Più non si torna.
Di colpo invecchiai di 33 anni.
Mi resi conto che una parte di me era ancora come Mark.
O meglio lo era fino al momento in cui appoggiai il piede sulla Luna.
Poi si modificò.
Probabilmente successe subito ma, preso com'ero, me ne accorsi solo quella notte in giardino dopo aver portato a letto mio figlio.
Il momento in cui appoggiai il piede sulla Luna coincise col momento di maggior gioia.
Perchè ci ero arrivato.
E di maggior dolore.
Perchè ci ero arrivato.
E quella notte in giardino, di maggior tristezza.
Perchè non ci saresti più tornato?
No, lasciai io stesso la Nasa poco dopo.
Non mi interessava fare altre missioni.
E allora perchè eri triste?
Perchè non avevo più un sogno così grande come quello che avevo quando ero piccolo come Mark.
* la piccola Karen, sua figlia, morì a soli due anni.
Articolo e foto di ©Gianni Caminiti - 30 dicembre 2019
Editing della foto: Chiara Resenterra
POVERO, VIECCHIE E SULO.
'O NATALE 'E NISCIUNO
Una poesia in lingua napoletana (con traduzione)
DUE PENSIERI E UNA POESIA.
Vi auguro buone feste.
Con due pensieri e una poesia che spero leggerete fino in fondo.
Due pensieri.
Annidati uno dentro l’altro.
Il primo.
Cercate se potete di rendere il Mondo vicino a voi un posto migliore.
Non crediate sia impossibile farlo.
È impossibile se pensiamo che sia solo una goccia d’acqua in un oceano.
Parlo con te che mi leggi.
Con ognuno.
Perché non ti sembri per niente una cosa impersonale. É molto personale invece.
Non ti preoccupare se è solo una goccia.
Quella goccia disseterà qualcuno.
E se qualcuno starà meglio avrai fatto la tua parte.
Il secondo.
State vicino agli anziani.
I vostri e magari qualcuno che non conoscete molto ma che sapete solo.
Sono due pensieri annidati perché il secondo potrebbe forse rappresentare la tua “goccia”.
Perché ho scelto il napoletano per una poesia triste di NAtale?
Per la capacità che i napoletani hanno di sorridere
anche quando hanno occhi pieni di lacrime.
POVERO, VIECCHIE E SULO.
'O NATALE 'E NISCIUNO
Buon Natale.
Buon Natale, ddoje parole songo,
Buon Natale.
Quanno era piccerille
a Natale
i regali erano
ddoje noci e 'nu mandarino.
E 'nuje piccerille eramo cuntente
Comme 'na festa 'e Pasca!
Mo' è 'nata cosa,
mo' è diverso.
Natale quanno si viecchie e sulo
po' esse pure 'na maledizione.
Natale erano 'e carezze da' mamma.
Nun me ricordo cchiù
da quanno nun mi fann 'na carezza,
nun me ricord, ma... so' anni.
Mo' 'o Natale
so' regali ricchi,
non so' cchiù carezze,
noci e mandarine.
Natale, quanno si' povero e sulo
è meglio ca te miette
rinto 'a n'angulillo.
Si tu si' pover
nun puo' ffa' regali.
e cosa strana assai è
che quanno sì povero
'e regali nummanco te n'arrivano
pecche'
si si' povero, viecchio e sulo
nun te vo' cchiù niscuno.
E accussì oggi
'o mercato
p'arricurdarme quanno ero piccerille
me songo accattato
ddoje noci
e 'nu mandarino.
'U mandarino se n'è gghiuto
a' metà do' regalo mio 'e Natale
eh
Uè, allora ve saluto
cu 'e pparole che sentevo da piccerille
'e sentevo sempre da Totò.
'e sentevo comme fosse 'na poesia
Mo vene natale
nun tengo danaro
me magno ddoje noci
e 'me vaco a curca'
TRADUZIONE:
POVERO, VECCHIO E SOLO.
IL NATALE DI UN NESSUNO.
Buon Natale.
Buon Natale, sono solo due parole,
Buon Natale.
Quando ero bambino
a Natale i regali erano
due noci e un mandarino.
E noi bambini eravamo felici.
Come una Pasqua.
Adesso è tutt'altra cosa,
adesso è diverso.
Natale quando sei vecchio e solo
puo' essere pure una maledizione.
Natale erano le carezze di mamma.
Non mi ricordo più
da quando non mi fanno una carezza,
non mi ricordo, ma sono anni.
Adesso il Natale sono regali costosi,
non sono più carezze, noci e mandarini.
Natale, se sei povero e solo
è meglio che te ne stai in un angolino
Se sei povero non puoi fare regali.
La cosa strana è che quando sei povero
di regali neppure te ne arrivano
perchè
se sei povero, vecchio e solo
non ti vuole più nessuno.
E così oggi al mercato
per ricordarmi di quando ero un bambino
mi son comprato due noci
e un mandarino.
Il mandarino se n'è già andato,
la metà del mio regalo di Natale.
eh
Uè, allora vi saluto
con le parole che ascoltavo da bambino.
Le ascoltavo sempre da Totò.
Le ascoltavo come fossero una poesia.
Ora viene Natale.
Non ho soldi.
Mi mangio due noci
e me ne vado a dormire.
Poesia e Foto di ©Gianni Caminiti
Editing della foto: Chiara Resenterra
QUAL E’ LA VOSTRA
“MASCHERA” MIGLIORE?
La mia prima regista in uno spettacolo teatrale amatoriale fu Marzia.
Ero talmente piccolo che non mi ricordo più il suo cognome.
Ci convinse che mettere in scena “il Piccolo Principe” fosse una cosa non solo possibile. Ci disse che era giusto farlo alla nostra età.
Fummo entusiasti dell'idea, ma la metà di noi alla fin fine non sapeva perchè aveva accettato e l'altra metà era lì nella speranza di essere notato dalla ragazza di turno.
Ah sì, a quel giro eravamo tutti maschi.
“Che ci vorrà mai? Basta dire le battute”.
Effettivamente la maggior parte di noi pensava che recitare fosse imparare a memoria le battute e ripeterle.
Più o meno tutte declamate con lo steso tono. Sia che si parlasse di una gioiosa giornata all'aria aperta o del funerale dello zio Arturo.
Un po' come quelli che quando vogliono imparare a ballare ti chiedono solo la sequenza e la direzione dei passi.
Anche quelli, ora che ricordo bene, eravamo noi.
Noi che eravamo stati educati con testa e corpo ben separati.
Noi che eravamo stati spesso derisi dai nostri stessi familiari sulle nostre goffaggini senza sapere, vista la zero cultura psicopedagogica, che ci avrebbero rovinati pressoché a vita.
Noi che il sesso era tabù e non se ne poteva parlare in casa.
Noi che eravamo legati. Negati. Intimoriti e mai incoraggiati.
Dovete provare “non a dire” quelle parole, ma ad “esprimere” quello che quelle parole hanno dentro.
Ok, riproviamo.
Uguale a prima.
Nessun cambiamento nel tono della voce o nella postura.
Sembravamo tutti impalati e trapanati sul palco.
Avevamo sì voglia ma anche terrore.
Una sera Marzia, credo ormai al colmo della disperazione del tipo “mannaggia a me e a quando ho pensato di far fare teatro a questi pali del telegrafo”, provò a fare qualcosa di diverso.
Prima della prova che si concentrava sul finale della storia, quando il Piccolo Principe sta per lasciare la terra, morendo e tutto sommato “risorgendo”, mi invitò a prendere la chitarra e a sedermi sul palco.
Mi chiese di arpeggiare un brano molto triste per alcuni minuti.
Poi disse qualcosa sulle emozioni e la tristezza di quella scena e mi chiese di suonare ancora qualche minuto sempre lo stesso brano straziante.
I due personaggi dopo quell'ascolto recitarono in modo diverso. Anzi a dire il vero recitarono, credo, per la prima volta.
La musica era penetrata dentro di loro toccando corde intime che immediatamente trapelarono nel tono di voce, nella postura, nei movimenti.
Fu la prima volta che ebbi la netta percezione che la musica nel teatro e soprattutto nel cinema fosse talmente importante da essere la metà di quella emozione. Avevo da poco visto Jesus Christ Superstar al cinema e mi ero ripromesso che avrei scritto qualcosa di simile, tutto cantato e suonato.
Ma questa è un'altra storia.
Dopo quella prima esperienza di cose ne ho imparate.
Soprattutto che se vuoi interpretare una parte non devi imitare.
Devi viverla.
C'è sempre una emozione dentro di noi legata ad un ricordo che può tirare fuori una configurazione simile a quella richiesta da una scena.
Fare teatro è anche una potente terapia che ti permette di entrare in contatto con alcuni vissuti della tua vita e prestarli ad una storia.
In quel momento, con la chitarra classica in mano, intuii per la prima volta che per indossare la maschera giusta non la devi prendere da fuori ma da dentro.
Da ciò che hai realmente vissuto.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 25 ottobre 2019
Editing della foto di Chiara Resenterra
GLI AMICI A VOLTE LI PERDI
prefazione al libro "Istantanee"
di Mario Biancardi - cineSmania Edizioni
GLI AMICI A VOLTE LI PERDI
Conosco Mario dai tempi del liceo.
Entrambi affamati di vita. Entrambi con sogni in testa e dubbi sul come realizzarli.
Io volevo essere con tutto me stesso un musicista. Lui un fotoreporter.
Entrambi avevamo le idee chiare ma chiare erano anche le paure.
Ogni giorno ci martellavano da più parti. “Fai un lavoro sicuro. Dalle 8 alle 17. Fino alla pensione.”
Oggi dopo tanti anni posso guardare indietro sorridendo ma a quei tempi, invece, la paura più grande era che gli altri avessero ragione. Una paura che nascondevamo a tutti. Anche a noi stessi. Ci dimostravamo sicuri quando in fondo non lo eravamo affatto.
Le paure degli altri ci avevano comunque contagiato.
Poi la vita ci ha diviso a lungo.
Ognuno ha saputo sprazzi della vita dell'altro di rimbalzo. Senza più entrare a contatto.
Per un'eternità.
Più un giorno.
Ogni tanto quando arrivava qualche notizia dai Balcani, non c'era ancora la rete cellulare o internet, pensavo a lui. Sapevo che era fotografo in quelle zone, zone di guerra vera, con elmetto, piastrine e giubbotto antiproiettile.
Me lo immaginavo in pericolo. Temevo che lo avrei rivisto solo coi piedi in avanti. Con gli occhi chiusi.
Quegli occhi.
I suoi occhi di ghiaccio mi avevano sempre incuriosito, atterrito, intenerito.
Uno sguardo sgranato sul mondo. Spalancava i suoi grandi occhi bambini e ritraeva quello che solo lui sapeva vedere.
Se non hai prima di tutto quella curiosità negli occhi non puoi scattare delle foto di vera intensità.
Io da giovane mi ero seriamente interessato di fotografia, certamente mai ai suoi livelli. Mi aveva passato alcuni suoi segreti. Mi piaceva quel suo modo di stanare lo scatto. Lo scatto perfetto.
Molti oggi pensano che se hai una bella macchina scatterai belle foto.
Un vero fotografo è altro. La foto la annusa, la evoca, la scopre; la inventa. Ce l'ha dentro spesso prima di appoggiare l'indice sul pulsante di scatto. Altre volte invece il fiuto lo porta altrove. A ghermire l'attimo fuggente. Tutti guardano verso un punto. Lui invece ne ha scrutato un altro. Quel punto da cui saprà ritrarre ciò che gli altri non potrebbero vedere.
Questo era Mario. Già tanti anni fa.
GLI AMICI A VOLTE LI RITROVI
La mia vita mi aveva portato altrove.
Ero diventato un musicista professionista, come avevo sempre sognato, ma anche uno psicologo.
La vita ordinaria aveva rischiato di inghiottirmi più e più volte ma sempre ero riuscito a divincolarmi dalla presa mortale e a tornare ai miei sogni.
Anzi bisogni.
L'arte. La musica. La poesia. La scrittura.
E in ultimo è arrivato il cinema.
Quando decisi di affrontare la mia prima opera cinematografica, un'opera rock in film, iniziai a ricercarlo attivamente.
I social Network di oggi permettono questa meraviglia che è il ritrovarsi mentre troppi oggi li utilizzano per perdersi.
E a noi avvenne la prima cosa.
Lo ritrovai. E lo chiamai.
Gli dissi che volevo i suoi occhi sul film. Volevo soprattutto lui per avere quel duplice sguardo di cui avevo un desiderio enorme. Lo sguardo nitido del Poeta e lo sguardo contorto di Ombra. Due in uno. Però in quegli occhi di ghiaccio volevo ritrovare prima l'amico del fotografo.
E ho ritrovato entrambi.
Io avevo bisogno anche della sua follia.
Tutti mi dicevano che ero matto a tentare un'opera rock in film.
Una sola altra volta era successo in Italia, quasi mezzo secolo fa, che un'opera rock diventasse un film. Quindi ero un matto che per realizzare un sogno aveva bisogno di altri matti.
E Mario, almeno quel Mario che avevo perso per tanti anni, ricordavo che lo fosse abbastanza.
In un momento in cui tutti si lanciavano, in pieno Yuppismo, a cercare nell'edonismo sfrenato la risposta alla propria vita, lui se ne andava con 3 reflex al collo, obiettivi e pellicole per un mondo da cui gli stessi suoi amici fuggivano. Se vai oggi in Croazia ci vai per startene sdraiato a pancia in su, in spiaggia. Negli stessi luoghi tanti anni fa anch'egli era sdraiato a terra, ma pancia sotto. Accanto a soldati col mitra e fucile puntato in avanti, nella stessa posizione lui aveva ben altro archibugio in mano. Una macchina fotografica. Per ritrarre la follia della guerra attraverso occhi altrettanto folli. Però di passione.
Questo è il lavoro duro che aveva scelto. Ritrarre Si la morte ma con la passione che al contrario ha il sapore della vita.
Era lui che speravo di ritrovare. Ed è lui che ho ritrovato.
Venne a trovarmi in studio dopo il mio invito.
Gli anni ci avevano invecchiato, ingrassati e provati.
La vita però non ci aveva inghiottiti. Mai del tutto.
Speravo rivedendolo dopo tanto tempo che gli occhi fossero gli stessi di un tempo.
Lo erano.
Dopo pochi tentennamenti il suo sguardo gelido si trasformò in quell'altro. Rividi quel bambino curioso.
Decise che avrebbe seguito il film dal primo all'ultimo giorno di set.
Anzi fin dai sopralluoghi.
OCCHI DENTRO GLI OCCHI
Altri avrebbero potuto ritrarre questo film. Certamente. Tecnicamente si. Ma io non volevo altri che lui.
Quel mio film che avevo sognato da sempre, l'opera rock, aveva bisogno dei suoi occhi. Solo dei suoi occhi.
Anzi, anche dei suoi. Dei nostri quatto occhi. Gli occhi di quell'amico e i miei occhi.
La terribile storia che stavamo per raccontare insieme, dietro obiettivi e sensori diversi, quello della cinepresa e della macchina fotografica, doveva essere raccontata da chi conosce il dolore, perchè descrivere e raccontare il dolore è per chi il dolore l'ha vissuto in prima persona e lo ha scavato nel profondo dell'anima.
La vita ci aveva toccato e segnato. Entrambi.
E per raccontare la vita del Poeta Icaro, travolto dai suoi desideri non realizzati, eravamo forse quelli giusti.
Devi aver rischiato di perderti per capire il valore del ritrovarti. E a noi era successo più e più volte.
I nostri sogni ci avevano abbandonato ed eravamo andati più volte a riprenderli. Rincorrendoli. Rincorrendoci.
A ritrarre questo nostro nuovo incontro, in una scena intensissima del film, ho voluto che i nostri sguardi si incrociassero intensamente, che ci specchiassimo l'uno nell'altro, ad esplorarci dentro; sguardi fatti di luce ed ombra.
Sguardi di Paura e di follia.
Questo libro nasce così. Da queste antitesi.
Da Luce. Da Ombra.
Il bianco e nero era quindi perfetto. Una scelta pressoché obbligata.
Credo troverete senza difficoltà quello sguardo, giocoso e bambino, triste e centenario, sano e illuminato, folle e oscuro in questi scatti che abbiamo scelto insieme per raccontarvi il lato nascosto della vita del nostro set.
Articolo di © Gianni Caminiti - 17 ottobre 2017
Nella foto: un frame del film "Ombra e il Poeta"
IL SIGNORE DELLE POIANE
articolo scritto per il libro "L'uomo che vola con i falchi"
di Elvio Bernardi e Cesare De Agostini - ed. Negri
"Quando due esseri volanti si incontrano è bene che si studino prima di avvicinarsi. Soprattutto quando sono entrambi piuttosto selvaggi.
Poi vinta la resistenza le due creature alate possono arrivare addirittura ad intimità.
Elvio e Gianni sono due rapaci, uno col piumaggio in livrea invernale, l'altro in estiva.
Quale miglior luogo possono scegliere due esseri piumati per incontrarsi che una montagna incantata, di quelle che si incontrano in alta Valle Poesia? "
Foto di Mario Biancardi - ©2014 Mario Biancardi/cineSmania™
Queste le poche righe che scrissi la prima volta che incontrai fisicamente Elvio.
Lui Emiliano, io Milanese della provincia, conobbi Elvio, come molti, attraverso il telegiornale. Una fortunata casualità visto che non posseggo la televisione da anni. Ma come molte notizie curiose anche questa è rimbalzata sulla rete fino ad arrivare a me.
In quei giorni stavo girando il mio film “Ombra e il Poeta”, di prossima uscita, di cui dirò due parole dopo solo per spiegare il perché inizialmente mi interessai ad Elvio. Fu solo un inizio perché poi l'amicizia è sbocciata e proseguita ben oltre i confini del set.
Nel mio film erano previste molte ali di piume e molte ali tecnologiche. Quando vidi Elvio con le sue poiane in quel servizio del TG era proprio il momento giusto. Una casualità che sapeva di destino. Ali di piume e tecnologiche insieme.
La mattina successiva avevo una riunione al Cineporto di Cologno Monzese con il mio staff.
Dissi loro: “ho visto un servizio al TG, non ho fatto in tempo a capire il nome ma.... c'è un uomo che vola col parapendio e tre poiane. Per favore trovatemelo”. Dieci minuti dopo i miei ragazzi mi avrebbero dato il suo nome. Elvio Bernardi. Ancora qualche minuto ed ecco il suo profilo su un social network. Immediatamente ne chiesi l'amicizia e lui quasi subito accettò.
Quella sera stessa, senza ulteriori preliminari, ci conoscemmo via videoconferenza. E dopo pochi istanti di studio reciproco, fu amore. Amore a prima vista.
Lo ricordo coi capelli sciolti davanti alla webcam. Di fronte aveva un'altra persona coi capelli sciolti. “Entrambi piuttosto selvaggi”. Entrambi coi capelli sciolti. Solo di colori diversi. Due rapaci con livree in abito estivo ed invernale.
Due sognatori arsi dal desiderio di volare, sia pur in modi diversi.
Elvio è un entusiasta di natura.
Si fece raccontare il progetto del film e immediatamente si decise per un incontro fisico. Tre giorni dopo salimmo insieme in Valtaleggio, la location principale del film, per un sopralluogo e fummo ospitati nella baita di Davide Arrigoni, prima di tutto un buon amico e poi anche sponsor del film.
Davide poco dopo sarebbe volato via da questa terra senza preavviso, lasciandoci tutti sgomenti.
La baita di Davide sorge in un luogo particolare. Sotto di lei si ammira la vetta dello Zucco, una montagna tra i protagonisti importanti del film.
Questa montagna, dalla valle, dal versante di Taleggio, pare una pinna di squalo. Una montagna inquietante e magnetica allo stesso tempo. Dall'alto della baita di Davide lo squalo faceva meno timore. Ma le correnti di quella montagna e le sue pareti scoscese non ne fanno un posto sicuro per un parapendio.
Elvio esplorò il versante a valle, verso Pizzino, un canalone con correnti imprevedibili.
Come un esperto predatore Elvio si mise al vento come per saggiarne la qualità, lui che col vento ci convive. Con le mani disegnava traiettorie possibili ma il suo volto scavato raccontava della preoccupazione per quel volo.
Come ogni grande dell'avventura Elvio sa quando è il caso di tentare e quando non lo è.
Immediatamente iniziò a pensare alla soluzione alternativa adatta alla difficile scena che gli prospettavo. E la trovò.
Quella montagna sarebbe stata più tardi sorvolata a volo d'ala da un altro amico, Stefano Venturi, da Elvio convocato per una manovra, quella richiesta dalla sceneggiatura del film, eseguibile in sicurezza solo col parapendio a motore.
Quella immagine, di Mario Biancardi, fotografo di cineSmania e mio amico di lunga data, quella foto testa a testa, fieri e sorridenti, ritrae bene quella giornata del nostro primo incontro.
Passarono soli altre tre giorni e questa volta fu il turno del rapace in livrea estiva di recarsi nei luoghi del rapace in livrea invernale. Una magnifica giornata sui rilievi romagnoli cari ad Elvio e alle sue ali di piume e tessuto tecnico.
Andammo ad Onferno, la palestra preferita da Elvio.
Lì ci presentò le sue amiche poiane, Luna, Jimmy e Jenny. Dico per il momento la parola amiche perché è davvero arduo tentare di descrivere il rapporto che Elvio ha con loro. Con quelli che sbrigativamente qualcuno potrebbe definire solo “animali”. Ma ci proverò ugualmente facendo riferimento a quello che ho visto e vissuto in prima persona.
Soprattutto con Luna, una magnifica ed imponente femmina di Poiana di Harris, apparsa più volte nel film, Elvio ha instaurato un rapporto di puro amore. Luna ha eletto Elvio a suo partner. E non lo dico per fare il romantico tout court. Luna per gelosia è arrivata persino ad uccidere altre poiane di Elvio. Vuole un rapporto esclusivo, non tollera altri pretendenti. Quando Elvio si avvicina lei si mette in posizione di accoppiamento. Fedele gli vola accanto e sopra la testa ogni volta che Elvio si stacca dal suolo. Gli si appoggia sul casco e sulla spalla mentre sono a cento metri sopra la terra percorrendo insieme, sulla stessa ala, a volo planato lunghi tratti, seduti l'uno accanto all'altra. Quell'ala diventa così una romantica suite matrimoniale volante.
Una inquadratura del film ritrae l'istante in cui le poiane si appoggiano in volo su Elvio.
Devo dire che a volte sono stato io geloso della sua compagna alata. Del rapporto intenso che hanno instaurato. Geloso del suo volo nuziale.
Da quel secondo appuntamento ho incontrato più volte Luna. Ogni volta che Elvio è venuto a trovarmi in “Valle Poesia” lo ha fatto sempre con lei. Una inseparabile compagna. E Luna, Luna-shin il suo nome completo, ha condiviso gli spazi della casa con noi. Dormendo con noi. Ho avuto il privilegio di poterla frequentare direttamente e siccome Elvio era calmo e contento lo era anche lei. E allora Luna diventava docile anche con me e si lasciava prendere, accarezzare e volava appoggiandosi su di me obbedendo a comandi mai impartiti. Guardavo la spalla sinistra e lei magicamente si appoggiava proprio lì. Porgevo un braccio e lei vi saliva.
Ho i segni dei suoi artigli sulle spalle e sulla testa, come graffi impressi da una appassionata amante, perché nonostante sia lieve e attenta, ha artigli affilati come bisturi e basta che ti sfiori perché ti laceri la pelle. Graffi che ho vissuto come un regalo.
Ogni cicatrice che porto addosso parla di momenti importanti della mia vita. Parla di avventure vissute intensamente e talvolta pericolosamente. L'incontro con questa coppia di esseri alati è uno dei regali ricevuti in questa mia vita.
Il sogno del volo ha sempre affascinato l'uomo. Il rapporto di qualche essere umano con un rapace, che del volo rappresenta certamente la forma più sublime, riesce per qualche istante a lenire l'insoddisfazione per la nostra condizione terrena.
Anche la mia condizione terrena.
Io ho affidato alla mia penna, alla musica e alle parole il compito di farmi volare. Un volo fatto quasi sempre ad occhi chiusi. Sulle ali della poesia e della musica. Quando chiudo gli occhi inizio a volare tra parole e note e quando li riapro le riverso su carta e sulla tastiera del pianoforte.
Così è nato il mio film. Un film completamente musicale, un'opera rock, tutta cantata dall'inizio alla fine. Un film che parla di desideri. Desideri da cui non si può fuggire. Un thriller drammatico che narra del desiderio di volare e di scrivere poesia.
In una storia così Elvio non poteva non esserci. Lui che la poesia e la musica la scrive col vento.
Se lo avessi conosciuto dopo aver chiuso il film mi sarei dispiaciuto insopportabilmente.
Elvio ha sconfitto la limitazione della condizione terrena.
Direte probabilmente che non è l'unico. È vero molti volano. Molti si staccano da terra. Alcune forme del volo umano più di altre, il deltaplano prima, le tute alate poi, per la posizione dell'umano simile a quella di un rapace, hanno fatto somigliare l'uomo agli uccelli. Ma sono tuttavia uomini che volano come uccelli negli spazi destinati a loro, i cieli.
Non è così per lui.
Elvio ha vinto ancor più questa limitazione. Lui non imita i rapaci con cui vola. È un rapace anch'esso. Un capo stormo.
Seguito e riconosciuto come leader dai suoi rapaci.
Quando ti capitasse di incontrarli, osservali volare insieme. Se vuoi un consiglio, non guardarli attraverso il display dello smartphone, con cui catturi qualche istantanea da mostrare agli amici. Mettiti in ascolto. Quando sentirai il suono del vento e i richiami che emettono ti renderai conto di essere di fronte a qualcosa di inusitato.
Vedrai un uomo che non vola semplicemente coi suoi rapaci. Egli di loro ha perso ogni invidia. È il sogno del volo incarnato. Un conto è volare “come un rapace”, un conto è essere rapace tra i rapaci.
Ricordo quel suono ad Onferno la prima volta.
Ho visto tantissimi rapaci nella mia vita e non solo in falconerie. In montagna soprattutto ho osservato innumerevoli volte maestose aquile volare sopra di me e talvolta sotto di me, fortunato, quando ero in vetta. Sensazioni certamente magnifiche. Ma non paragonabili a quello che ho visto e vissuto con Elvio.
Ho conosciuto molti falconieri che amano e conoscono profondamente i loro rapaci. Ci convivono e affidano alle loro ali i loro desideri. I cacciatori con enormi aquile in Mongolia ne sfruttano le doti di caccia e dei loro uccelli hanno una sorta di venerazione divina. E come potenti Dei affidano alle loro ali intime preghiere.
Ma tutte queste cose ed altre ancora che ho visto e conosciuto nella mia vita sono molto diverse da quello che ho sperimentato con Elvio.
Diverso, prima di tutto, perché lui ci convive, come fratelli o amanti.
E le sue ali enormi, quando si leva con loro in volo, devono apparire a Luna e alle altre poiane di Elvio come quelle di un gigantesco pterodattilo sopravvissuto miracolosamente all'estinzione.
Si ha l'impressione di assistere all'incontro tra esseri normali e una divinità.
Le poiane di Elvio riconoscono in lui una sorta di Dio del volo e ad esso si consegnano con fiducia smisurata. Fino a desiderarne la possessione carnale.
In un brano del film, Selene, la moglie del poeta canta al suo amore, il poeta Icaro, queste parole:
“Io vorrei come te avere grandi ali,
per volare in altri mondi come fai tu”
Le parole rivolte da Selene al poeta alato, ben si adattano ad Elvio. Anzi sembrano scritte apposta per lui.
Ogni volta che nella mia vita ho incrociato i miei passi con qualcuno che mi ha toccato profondamente il cuore ho scritto parole; che fosse un lui o una lei. Ho sempre considerato un privilegio lo scrivere in sé. Ancora più alto è il privilegio quando scrivo pensando a qualcuno o per qualcuno che reputo degno delle più alte note.
Ho conosciuto quest'uomo.
Ho conosciuto le sue ali.
Gli ho chiesto di partecipare al mio film perché era la persona giusta ma non sapevo che avrei trovato in lui un amico. È stato un privilegio averlo con me, con noi, a condividere la poesia del volo e il volo nella poesia.
E dopo aver ricevuto questo dono mi è stato fatto questo altro regalo. Di poter scrivere qualche riga sul libro che di lui racconta.
Un privilegio così è davvero per pochi. E spero di essere riuscito almeno in parte a cogliere e a comunicarvi la sua essenza con le mie parole.
Non posso che concludere questo breve racconto delle emozioni ricavate dall'incontro con Elvio che con alcune delle parole del film che sembrano quasi scritte di suo pugno..
Ho sempre saputo fin da bambino di essere un falco.
Volare in alto dove nessuno possa trovarmi.
E poi lanciarmi giù, per poi librarmi.
E così di lassù io vedrò Dio.
Se davvero esiste non mi odierà.
Volo Io
Io, sono Dio.
Chissà, forse Dio, innamoratosi anch'egli di Elvio, pur avendo egli avuto più volte l'ardire di avvicinarsi a lui, non lo trafigge come fece invece con l'angelo Lucifero perché, credo, che in fin dei conti gli sia simpatico.
Io me lo immagino seduto su una nuvoletta che, dall'alto del cielo, gli urla con inconfondibile accento romagnolo:
“Elvio! Brisa schertzar, a t' ha tólt sù adiritira al dio!
A t'l' ho dit dan far brisa al pataca.”*
* '“Deh Elvio non scherziamo. Addirittura Dio? Addirittura me? Te l'ho detto di non fare mica il patacca”.
Articolo di ©Gianni Caminiti - 6 gennaio 2017